Ad un anno esatto dalla pubblicazione della loro ultima fatica, i Disbelief tornano sul mercato con un album che vuole essere una celebrazione dei loro primi vent’anni di carriera. Nati nel 1990 ma attivi musicalmente solamente dal 1997, il gruppo è riuscito a crearsi una piccola ma forte nicchia di fans, grazie alla loro capacità di creare un suono piuttosto personale, spesso oscuro e doloroso, che non ha mai disdegnato di inglobare influenze differenti tra loro, in maniera comunque fresca ed ispirata. “Heal” intende omaggiare sia i gruppi con i quali i nostri sono cresciuti, sia i suddetti fans: ecco così prendere forma un quartetto di inediti di discreto valore, associati ad un trittico di cover di gruppi che a prima vista poco hanno a spartire con il sound del gruppo (si passa dai King Crimsom ai Killing Joke) e alla riedizione di un loro vecchio successo di una decina scarsa di anni fa (“Shine” del 2003). Sul valore artistico di questo lavoro non c’è molto da dire, il marchio Disbelief si sente, con il suono del basso sempre in evidenza e le vocals di Karsten Jäger a districarsi tra graffianti scream in stile John Tardy / Chuck Schuldiner, growl filtrati e brevi passaggi melodici a voce pulita. In qualche punto però vengono introdotti break in doppia cassa che solitamente non appartengono al loro orizzonte stilistico, conditi da ricercati tecnicismi che ben illustrano la capacità tecnica di ogni singolo strumentista (basti pensare alle influenze a metà strada tra i Death e i Pestilence di un pezzo come “Isolation”, forse la canzone migliore dell’album). In parole povere, un buon disco pensato e composto per gli aficionados dei Disbelief , e come tale deve essere giudicato. Adesso però bisogna tornare a fare sul serio. Aspettiamo fiduciosi!