L’album di esordio dei danesi
Third Eye è uno di quei dischi che, inevitabilmente, è fatto per spiazzare. Sarà la proposta musicale, difficilmente inscatolabile nei meandri di un genere, sarà per le partiture, imprevedibili come una pioggia d’estate, ma ad essere onesti il vero merito del fattore sorpresa dei Third Eye risiede quasi esclusivamente nelle corde vocali di
Per Johansson, sorta di folle connubio tra il Devin Townsend più sguaiato, il Rob Halford dei tempi (e dell’ugola) d’oro ed un solido cantante power/prog, un uomo dalle mille voci e della personalità straripante, come potrete constatare gustandovi le tracce di questo “
Recipe for Disaster”. Lo stesso concept che sostiene il lavoro dei Third Eye ci parla di un uomo che, in età adulta, scopre di soffrire di sindrome ossessivo-compulsiva, con tutti i problemi, i drammi e le difficoltà che questo comporta. E già dalle opening notes presenti a pagina 2 del booklet, ci si fa quasi l’idea che la storia sia vagamente autobiografica ed ispirata proprio a Per, che riesce a rendere con un ventaglio quasi sterminato di voci diverse i vari stati d’animo espressi nelle songs. Alle sue spalle, una band dall’elevato tasso tecnico, capace di incastonare riff ben riusciti (due chitarristi, e si sente) con una sezione ritmica solida e sicura, lasciando il giusto spazio al folle Johannsson per esprimersi in maniera degna. Un lavoro che al primo ascolto ti sorprende, al secondo ti spiazza e dal terzo comincia a convincerti e ad ammaliarti, dieci capitoli di una storia condotta tra alti e bassi, come una folle corsa sull’ottovolante, seduti comodamente di fianco ad un pazzo in camicia di forza. Da ascoltare.
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