Diciamolo chiaramente, senza possibilità di fraintendimenti. I sequel vanno bene al cinema (e a volte neanche tanto), la musica è un'altra cosa. Quante volte nomi illustri hanno annunciato la parte seconda o terza di questa o quell'opera, per poi beccarsi gli strali di pubblico e critica per la delusione cocente. I nomi sono tanti, troppi, e sicuramente, visto la moda di "ritornare sul luogo del delitto", sono destinati a crescere nel corso dei prossimi mesi/anni. Ecco, "il sogno di mezzo autunno" dei Labyrinth di ricreare la stessa magia di una dozzina d'anni fa con l'indimenticabile "Return To Heaven Denied" non c'entra nulla con questo discorso. Nel senso che Roberto Tiranti e compagni (tra cui il rientrante Olaf Thorsen) sono riusciti perfettamente in un'impresa da molti giudicata impossibile, tanto da ricevere critiche ancor prima dell'uscita dell'album. La solita moda del metallaro italiota, sempre pronto a sparare sentenze quando si tratta di una band tricolore, molto più accondiscendente quando a cadere nella stessa tentazione è la celebrata band proveniente dall'estero. Bastano gli arpeggi liquidi dell'iniziale "
Shooting Star" per riconquistare il "paradiso negato", per non parlare di quel pre-chorus dove Tiranti usa le proprie corde vocali a mò di violino: fantastico. Il sognante incipit di "
A Chance" è il preludio ad una cavalcata speed che si risolve ovviamente nel solito refrain ultra-catchy, oltre a passaggi solisti di chitarra e tastiere a velocità iperbolica. "
Like A Shadow In The Dark" è invece uno struggente affresco "autunnale", l'ideale per permettere a Tiranti di mettere alla frusta tutta la sua capacità lirica ed interpretativa. Torna ad alzarsi il ritmo con la power-oriented "
Princess Of The Night", soltanto omonima del classico dei Saxon, prima che i Labyrinth si lancino a capofitto nella clamorosa "
Sailors Of Time", ovvero quella che potrebbe essere descritta come la nuova "Piece Of Time". Si prosegue con lo speed melodico di "
To Where We Belong", con la quale sembra veramente di entrare in una macchina del tempo per planare nell'anno domini 1998. La title-track è soffusa, intimista ed epica allo stesso tempo, una sorta di ballad atipica che da sempre fa parte del DNA di Olaf Thorsen e compagni. “
The Morning’s Call” si ricollega idealmente al mitico “No Limits”, con quelle tastiere techno innestate da Andrea De Paoli che “pompano” fino allo spasimo. “
In This Void” rappresenta forse l’episodio meno ispirato dell’album, anche se ovviamente la classe esecutiva del gruppo mette fine a qualsiasi tipo di discussione. Gran finale con l’imponente prog-metal di “
A Painting On The Wall”, che chiude il cerchio sulle note della vecchia “Falling Rain” in modo intenso ed emozionante. Difficile fare paragoni a caldo anche se, volenti o nolenti, questo sarà il leit-motiv che accompagnerà “Return To Heaven Denied Part 2” nei mesi a venire. Io però mi sbilancio: questo secondo capitolo non ha nulla, ma proprio nulla, da invidiare al suo (giustamente) acclamato antenato. E “questi” Labyrinth sono invecchiati proprio bene: complimenti, ragazzi!
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