Ricordo di essere rimasto assolutamente stupefatto dalla reunion dei
Mekong Delta di qualche anno fa. Sia per l’eccezionalità della cosa, sia perché “Lurking fear”, album del ritorno dopo dieci anni di silenzi, è un signor disco, assolutamente al di sopra del 90% delle uscite discografiche dei giorni nostri. Ovviamente un disco del genere, complicato e poco assimilabile, non ha riscosso il successo dovuto, forse proprio perché troppo poco commerciale e quindi poco adatto a palati poco raffinati. Incurante di tutto ciò, Ralph Hubert, padre padrone nonché unico membro ad aver militato nella band sin dai suoi esordi, decide di dare un seguito al capolavoro di cui sopra, e quindi dà alle stampe il nuovo “Wanderer on the edge of time”, nono lavoro in studio della band tedesca. Qualche tempo prima della sua uscita mi è capitato di transitare sul MySpace ufficiale del gruppo, dove era stata caricata un’anteprima. Inutile dire che mi aveva lasciato assolutamente di sasso, quindi la curiosità di ascoltare l’album intero era tanta. Ovviamente da un personaggio come Hubert non è lecito aspettarsi che si culli sugli allori, quindi era presumibile attendersi diverse novità, ed infatti così è stato. La prima cosa che si può notare è che rispetto al suo predecessore il sound è molto più curato, cristallino e soprattutto potente. Se “Lurking fear”, infatti, poteva avere un lieve difetto era proprio legato alla produzione. Certo niente di così inficiante, visto l’alto livello dei brani, ma effettivamente si poteva fare di più. E così è stato fatto per “Wanderer…”, per fortuna. Ascoltando il disco si nota poi un’altra cosa… la voce non è più la stessa… Incuriosito ma al tempo stesso non stupito più di tanto, visto che la band ha sempre avuto numerosissimi cambi di formazione, decido di fare una ricerca e mi accorgo che Leszek “Leo” Szpigiel non è il solo ad aver lasciato il gruppo, in quanto TUTTA la formazione è cambiata, ad eccezione ovviamente di Ralph. La cosa sconcertante, però, è che nonostante ciò lo stile e il sound sono rimasti immutati, a conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che queste sono due cose ad appannaggio esclusivo dello storico bassista. Ma non finisce certo qui… se da un lato gli innumerevoli richiami alla musica classica non mancano (vedi i vari interludi presenti), c’è un’ulteriore novità, e cioè la presenza di brani che si allontanano pesantemente dal classico sound della band. Si tratta di brani quasi pop, nell’impostazione, naturalmente sempre reinterpretati secondo lo stile del gruppo, quindi con arrangiamenti ed armonizzazioni di gran classe che possono richiamare alla mente alcune cose del prog anni ’70, quello però più melodico. Per avere un’idea di cosa parlo basta ascoltare “A certain fool (Le Fou) - Movement 1” o “The 5th element (Le Bateleur) - Movement 2”. È inevitabile che a un primo ascolto questa cosa lasci un po’ spiazzati. Il problema, conoscendo Hubert, è cercare di capire se si è trattato di un esperimento momentaneo, o di un’evoluzione del sound che potrebbe portare, con il prossimo album, a qualcosa di ancora meno legato al metal. Ovviamente si saprà solo tra qualche anno, con la pubblicazione del nuovo disco. Intanto, tornando a quello odierno, ci troviamo senza dubbio davanti ad un classico disco dei Mekong Delta, di classe, con partiture ai limiti dell’umano (vedi “Ouverture”, che segue lo splendido intro di chitarra classica, la più pesante “The Apocalypt - World in shards (La Maison Dieu - Movement 3)”, oppure la strumentale “Intermezzo (instrumental) - Movement 5”), che confermano ancora una volta la genialità di Ralph, compositore sopraffino oltre che ottimo bassista. Un disco, l’ho già detto in apertura, come sempre anni luce avanti rispetto alla banalità del 90% degli album che ogni giorno affollano inutilmente gli scaffali dei negozi di dischi e dei mailorder. Altrettanto ovvio, inutile dirlo, che come il suo predecessore rimarrà certamente nell’anonimato, snobbato a favore di porcherie che però portano sulla copertina un nome sicuramente più noto e di tendenza di quello dei Mekong Delta. Destino dei geni, destino dei veri artisti. E a proposito di copertina, vorrei chiudere con una menzione per la splendida cover dell’album, ad opera di Eliran Kantor, gelida ed apocalittica come raramente capita di poter osservare.
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