Prima di parlare del disco vorrei fare una piccola premessa. Ho sempre stimato gli
Elvenking, una delle poche band in Italia che nonostante il successo ottenuto è rimasta con i piedi per terra, costruendosi il proprio nome con caparbietà, umiltà, e anche con qualche rischio. Già, perché se conoscete il loro percorso artistico sapete benissimo che hanno cambiato spesso registro durante gli anni, passando dal folk/power degli esordi ad un disco più duro come può essere “The Scythe”, alle atmosfere acustiche di “Two Tragedy Poets”. Era quindi lecito aspettarsi, per questo nuovo “Red Silent Tides”, che le cose cambiassero di nuovo, e così è stato. Senza snaturare del tutto il proprio sound, la band friulana lo ha mutato ancora, spostando le sonorità verso una sorta di hard rock melodico, spesso e volentieri quasi ai limiti dell’A.O.R. (“The last hour”, “The cabal”, “Those days”). Ed è proprio la melodia a farla da padrona in questo disco, molto spesso lasciando anche spiazzato l’ascoltatore, per quanto è stata portata ai massimi livelli. Niente più parti in growl, quindi, per Damnagoras, violino quasi relegato a riempire le melodie della tastiera, con conseguente calo delle parti folk, e anche le classiche cavalcate in doppia cassa sono state ridotte all’osso. Un tentativo di allargare il range dei propri fans inserendo parti più accattivanti e di facile ascolto? Chi lo sa, probabilmente sì… I brani più tipicamente power non mancano di certo, per quanto reinterpretati comunque secondo lo stile della band. Niente partiture becere, quindi, ma canzoni eleganti e ragionate, basta ascoltare l’opener “Dawnmelting” o “Your heroes are dead” per capire cosa intendo. Però poi ecco spuntare quei ritornelli ai limiti del pop che ti lasciano pensare… Tuttavia, prima che qualcuno di voi parta in quarta con insulti e sentenze tipicamente italiane, sia chiara una cosa: dal punto di vista strettamente compositivo e delle armonizzazioni questo è un album che spacca davvero. La classe dei nostri penso che non abbia mai raggiunto livelli così alti, quindi il problema è uno solo: i fans capiranno il loro ennesimo cambio di rotta? Continueranno a seguirli? Personalmente, dato l’alto livello dei pezzi non ho dubbi: sì, lo faranno. Sicuramente, d’altro canto, ci sarà qualcuno che non apprezzerà appieno la svolta commerciale dei nostri, storcendo il naso rispetto a dei brani in alcuni casi davvero eccessivamente orecchiabili. Resta comunque il fatto che scelte del genere sono rischiose, e nessuno può prevederne gli sviluppi. Dal canto nostro non possiamo far altro che premiare di nuovo la band, per il coraggio dimostrato, per la crescita stilistica, per la professionalità, per l’ottima prova dei singoli, Damna in particolare, davvero a suo agio con queste nuove sonorità, per la registrazione ad opera di Dennis Ward, un nome una garanzia (Angra, Pink Cream 69, Primal Fear), e non ultimo per la bellissima copertina dipinta da Samuel Araya. Insomma, come vedete gli ingredienti ci sono tutti, ora, come già detto, sta a voi decidere se promuovere o bocciare questo nuovo corso.
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