Era da mesi che aspettavo questo disco. La motivazione, ovviamente, risiede nel fatto che se Glenn Hughes, Jason Bonham, Joe Bonamassa e Derek Sherinian si mettono insieme per scrivere musica non può che nascere qualcosa di buono e, fortunatamente, il risultato finale è assolutamente all’altezza delle aspettative. Non un capolavoro di proporzioni epocali, ma comunque un grandissimo disco. Assolutamente da 10 nella prima parte, leggermente inferiore nella seconda: un buon compromesso è un voto medio, che a mio parere può tranquillamente essere un 8,5.
L’opener
Black Country ha del clamoroso: tre minuti di furia hard rock che sinceramente non mi aspettavo, molto zeppeliniani nei break tra le diverse strofe. Per come la vedo io, basterebbe da sola a giustificare il prezzo del disco. Il singolo
One Last Soul è già disponibile da qualche settimana online ed è una canzone maggiormente strutturata, che rappresenta al meglio il sound della band. Sound che esplode in tutta la sua classe e prepotenza nelle canzoni successive:
The Great Divide, Down Again, Beggarman, fino alla stupenda
Song Of Yesterday rappresentano a mio parere la summa di un modo di fare musica che mette i brividi a tutti coloro che sono indissolubilmente legati alle sonorità seventies. Si torna un po’ a correre con
No Time, prima della nuova versione di
Medusa dei Trapeze, che trova spazio nell’album e mantiene tutta la magia degli esordi. Particolare
The Revolution In Me, incedere ritmato e parte centrale convulsa, mentre la successiva
Stand è probabilmente il pezzo più complesso dell’intero lavoro, che spazia tra melodie quasi pop e parti progressive da dieci e lode. Il ritornello di
Sista Jane sa un po’ troppo di già sentito, ma la canzone si fa comunque ascoltare senza annoiare. La conclusiva
Too Late For The Sun è praticamente una specie di jam trasformata in canzone, dove i BCC si producono in acrobazie personali e di insieme per quasi tutti gli undici minuti di durata: un pezzo che dal vivo potrebbe rivelare delle sorprese commoventi.
La prestazione dei singoli è ovviamente di livello altissimo. Sarà che ne sono musicalmente innamorato da anni, ma le parole migliori le devo spendere per il caro Glenn, che a sessant’anni suonati sfodera l’ennesimo schiaffone in faccia a tanta gente che pensa di saper cantare. La voce di Hughes non perde un colpo e chi l’ha visto dal vivo di recente sa che la differenza tra i dischi e il palco non esiste: siamo al cospetto di un mostro canoro vero e proprio. L’efficacia delle iperboli canore di Glenn è quasi disarmante: ti toccano l’anima, ti percuotono, ti emozionano, ti stupiscono. Immenso.
Se capite qualcosa di musica, questo disco l’avete già comprato o adocchiato. Se non sapevate della sua uscita, spero che le mie parole possano servire a farvi correre al più presto verso il negozio. Ora non resta che attenderli dal vivo, per un concerto che si preannuncia devastante.