In una scena Power inflazionata da dischi che si rifanno ai due “Keeper of the Seven Keys”, ogni tanto è piacevole incontrare una proposta di una certa originalità, che prenda le distanze dalle sonorità più orecchiabili e allegre tanto care agli Helloween. E' questo il caso dei Twelfth Gate, gruppo di Chicago formatosi nel 2000 dalle ceneri di due gruppi di un certo spessore della zona, Syris e Venery. I quattro ragazzi americani ci propongono un Power Metal tipicamente Made in Usa, fortemente influenzato dal Thrash dei Nevermore di Warrel Dane e dai primi Fates Warning di John Arch, anche per le buone capacità strumentali dei componenti del gruppo. Il cantato del singer Scott Huffman (versatile nel modulare la voce e abile nel proporre linee vocali mai banali), ben si adatta alle atmosfere lugubri e opprimenti evocate dai riff granitici dalla chitarra di Rich Knight, mentre la batteria di Mike Nevaril e il basso di Rob Such formano una sezione ritmica potente e di sicuro impatto. La produzione è al passo coi tempi mentre la qualità del songwriting non mi ha soddisfatto in pieno, rivelandosi un po' troppo monotona, specialmente nelle ultime canzoni del disco. L'apertura è affidata al duo “Mortal Coil” - “Desire Brings”, due episodi thrasheggianti piuttosto articolati che hanno in comune un velo di malinconia e di pessimismo, dovuto anche ai tetri testi di Huffman. Segue “Orpheus”, ispirata all'omonima figura della mitologia greca e alla sua sfortunata vicenda: dopo un inizio calmo e cadenzato, la chitarra di Rich Knight sale in cattedra dando vita a una composizione di stampo maideniano di buon livello. Tra i migliori episodi del disco è doveroso citare l'oscura “Flames of Anger, la dinamica “Waiting in Shadows” e la tellurica “Malevolent Sky”. Una piena sufficienza dunque per i Twelfth Gate, soprattutto se si considera che è il loro primo disco: se volete un disco Power un po' diverso dal solito, “The Summoning” merita la vostra attenzione.
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