Ce la farà il caro vecchio
Gary Cherone a stupirci un’altra volta? La risposta, come spesso accade, è “
nì”. La prima creatura del progetto
Hurtsmile, che oltre al carismatico singer vede impegnati il fratello
Mark alla sei corde e una sezione ritmica di notevole spessore (ascoltare per credere) con
Joe Pessia e
Dana Spellman, è infatti un disco sicuramente di ottimo livello, che tuttavia non fa purtroppo gridare al miracolo.
Le parole di Gary erano abbastanza chiare: “
Hurtsmile è un ritorno alle radici, un disco scritto tra le mura di casa, fatto solo di puro rock and roll…ma si è rivelato diverso e più ambizioso di quanto mi aspettassi”. In effetti, è proprio così che si sente l’ascoltatore al cospetto di questo album. I primi ascolti, lo devo ammettere, mi hanno lasciato parecchio deluso. Sembrava tutto troppo sempliciotto, troppo abbozzato per avere un pieno senso compiuto. E invece, col passare dei giorni, ecco sbocciare un signor album, per nulla scontato, in grado di regalare diversi momenti gradevoli e di alto livello compositivo, anche se qualcosa gli manca per essere considerato un capolavoro.
Pronti via, la doppietta iniziale è ottima, con riff trascinanti e ritornelli immediati. Si cambia subito con
Love Thy Neighbor, in cui l’intro a cappella lascia presto spazio ad una strofa al limiti del grunge (Alice In Chains e Soundgarden docet), che precede un ritornello veloce e più allegro.
Kaffur è invece piena di riff intricati, stacchi e cambi di tempo, mentre la successiva
Painter Paint è una dolce e cullante filastrocca acustica di brevissima durata.
Tolerance Song è la più aggressiva dell’album, con voci filtrate nelle strofe e linee melodiche che si rincorrono nella parte centrale. Con
Set Me Free si torna a saltellare come in apertura di album, mentre in
Jesus Would You Meet Me esplode tutta l’
americanità del quartetto, in una song quasi country-gospel accompagnata da chitarra acustica, basso e grancassa. Buon pezzo anche
Slave, con l’alternanza di momenti lenti e veloci, seguita da
Beyond The Garden, il cui crescendo lascia spazio a momenti vicini alla psichedelia. C’è spazio perfino per il reggae, con la versione di
Just War riarrangiata e rivista (apprezzabile, probabilmente, ma io odio il reggae). Il disco si chiude infine con
The Murder Of Daniel Faulkner, ossessiva ballata narrativa vicina allo stile dei grandi cantautori americani (Dylan su tutti).
Insomma, di tutto un po’ in questo Hurtsmile. Parecchi sono i richiami agli ultimi Extreme, il tutto suona molto Made in USA, ma alla base c’è sempre e comunque un buon rock e persone in grado di trasmettere esperienza e passione in quello che fanno. Però ci sono talmente tante cose che forse, alla fine, risultano fin troppe. Certo, è sempre meglio abbondare, ma l’ascoltatore rischia di rimanere un po’ spiazzato e alcuni pezzi, tirando le somme, si potevano evitare. Come al solito,comunque, la cosa migliore è farsi un’idea ascoltandosi qualche sample prima di procedere all’acquisto. Sappiate però che è un lavoro che richiede un certo periodo per essere ben assimilato e che, a mio parere, è un disco da possedere per chi apprezza lo stile di Cherone, perché ne ricalca in pieno la poliedrica personalità. Per quanto mi riguarda, speravo in qualcosa di più, ma il suo posticino sulla mensola se lo guadagna di sicuro. Chiudo con una citazione particolare per i testi, spesso ironici, ancora più spesso impegnati, sempre e comunque estremamente efficaci.