Avevamo lasciato gli
Schizophonic alle prese con un prestigioso (partecipavano all’opera anche Andrea Martongelli e Bumblefoot) dischetto autoprodotto, “Fragments of a dream”, cui consegnavano tutta la loro freschezza di
hard-rock band temperamentale, “curiosa” e frizzante, forte di una solida base culturale su cui edificare le proprie composizioni. Alcune indecisioni vocali e una mancanza di minuzioso coordinamento complessivo, avevano, ai tempi, consigliato un giudizio “prudente”, nella speranza che doti artistiche e vocazionali importanti trovassero un loro “naturale” perfezionamento.
Li ritroviamo oggi con una nuova autoproduzione da promuovere, priva di ospiti illustri e con due avvicendamenti in formazione, il bassista Stefano Albertini e, a ricoprire quell’incombenza identificata come una lieve pecca del gruppo, il cantante Marco Vantini.
Appare chiaro, a questo punto, il desiderio di verificare se i progressi auspicati si sono effettivamente concretizzati e diciamo fin da subito che l’ascolto di “Different shapes for the same letter” conferma l’attitudine
evoluta della band veneta, capace di condensare la sua passione per i “classici”, ma anche una notevole attenzione per la
contaminazione che non disdegna funky, metal, jazz, pop e grunge.
I miglioramenti ci sono effettivamente stati, e se oggi gli Schizophonic sono in grado di sfornare un pezzo davvero avvincente come “Stay with me”, pregevole esempio di sostanza “ottantiana” trapiantata con successo ai giorni nostri, è sicuramente merito della progredita penna di Fabrizio Cicolin e della voce ispirata e pertinente della
new entry Vantini.
Forse, però, manca ancora qualcosa, perché a volte Marco sembra esprimersi con eccessiva “titubanza” e perché quell’organizzazione tra le varie componenti armoniche non ha per ora raggiunto il suo incondizionato compimento.
Poco male, in realtà, dal momento che “Cupid's crying” ha una piacevole linea melodica dai toni malinconici, “Lost” solca il groove del funk con proprietà di linguaggio e ficcanti proiezioni di chitarra, che in “Run rabbit” sembra di sentire i Clash
flirtare con i Dog Fashion Disco (e, nell’intro,
persino con Sade!), e in “Unspoken” i RHCP più meditativi
jammare con i Pearl Jam.
Ovviamente si tratta di piccole
suggestioni, di repentini flash “orientativi”, riscontrabili nella prova di quattro ragazzi che di musica ne devono aver ascoltata e assimilata parecchia, concentrando il risultato in brani come “Cut here!”, pregna di umori diversi e davvero a un’incollatura dall’eccellenza, come “G.O.D. Inc.”, breve excursus acustico con CSN&Y, Who e gli Zeppelin bucolici nel cuore, come “Misunderstanding”, tra Mr. Big e Van Halen e come la pulsante “Shadows” a cui manca solo un pizzico di messa a fuoco per ambire ad una forma d’inattaccabile consenso.
Anche se alla voce “canzoni poco efficaci”, alla fine, il mio "taccuino" ne annovera in pratica una sola, quella sorta di
punk ipermelodico suonato nei
sixties che prende il nome “Writing love in the sand”, rimane la netta impressione di un disco rappresentante un passo notevole e convincente, ma non ancora conclusivo, nel percorso costruttivo degli Schizophonic, una formazione che, raggiunta la stabilità dell’organico, può aspirare veramente a dire qualcosa d’importante nel nostro chiassoso e affollato panorama musicale (e discografico!).
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