Buttate tutto. Buttate tutto quello che di bello avete, lasciate indietro le vostre sicurezze, l’amore, la speranza. Cosa rimane? Nessuna risposta, niente che dia senso a ciò che succede dentro di voi e fuori di voi. Esprimere questo in musica, in canzoni rabbiose e tristi, di un colore viola, scarne e potenti come poche volte mi era capitato ascoltare da un gruppo metal. Questo è quello che i Daylightdies hanno fatto con “No reply”, dare urlo ad angoscia, sofferenza ad una sfera intima talmente inconscia che la musica a tratti assume la forma di un vero calvario, doloroso e forse necessario. Ascoltando in sequenza martelli come “The Line That Divides”, “I Wait”, “Four Corners”, si viene avvolti dalla potenza sonora di una band in grado di evocare Paradise Lost, InFlames, Sentenced, con strutture talmente elaborate nella musica quanto lapidarie nei testi. “Another year passes away, quietly, carefully, wrapped in promises of change; how many times mus I look back counting my mistakes, how many lives like mine begin and end each day?” (Four Corners). Questo è quello che i Daylightdies raccontano attraverso la loro musica melodica ed intricata, ricca di ritmo e ambientazioni gotiche, in un autunno perenne che sembra provenire dalle nebbie inglesi, quelle popolate da fantasmi ed ombre. Ogni brano brilla di luce propria ma il recitativo di “In the Silence”, dopo tanto cantare urlato in brani che mai durano meno di sei minuti, scava un solco difficile da ricoprire. Questo è vero gothic-metal. Pesante come un macigno, in ogni senso.
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