Dopo un sonno durato cinque anni, il “supergruppo” norvegese torna a noi con quello che è solo in apparenza un full length ma di fatto, con una durata di poco superiore ai venti minuti, rientra nella categoria “mini”. Nonostante l’iconografia old school e i titoli che richiamano la mitologia locale, il sound dei
Nidingr è modernissimo, squadrato, chirurgico… e francamente un po’ monotono. Vengono in mente le sonorità già espresse dai DHG nel periodo della loro svolta sperimentale, o dai Thorns del ritorno su Moonfog.
Ci troviamo in territori Black/Death, sovrastati da una performance vocale senza compromessi, fredda e rabbiosa, che tace solo momentaneamente nella seconda traccia,
"Baldrs Draumar", dove un inaspettato
Krystoffer Rygg si esprime con i toni melodici e pacati che contraddistinguono ormai da anni la produzione dei suoi Ulver.
Come noto alla batteria c’è un tal
Hellhammer, che per contratto non può deludere, e non manca di fornire al lavoro un’impalcatura ritmica solidissima, mentre le chitarre si impegnano a far sanguinare le orecchie con sadica perizia, artefici primarie del feeling moderno e tecnologico che tradisce senza remore la brumosa e in qualche modo fuorviante copertina.
Nonostante la durata contenuta,
Wolf Father è un disco impegnativo, a causa dell’impatto sonoro che non lascia respiro e va a mascherare ogni vago accenno melodico. In fin dei conti però, data la lunga attesa e il prestigioso curriculum dei membri, era lecito aspettarsi qualcosa di più.
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