Quando sugli inizi degli anni Novanta,
David Coverdale decise di far calare il sipario sugli
Whitesnake, questo non significò solo la fine di una band che aveva segnato in maniera indelebile un certo tipo di sound per tutto il decennio appena trascorso, ma anche l’inizio di un altro decennio che avrebbe visto quel tipo di sonorità scadere sempre più nella maggior parte in un vortice di inutili rimescolanze, o di band che stavano lentamente cadendo a pezzi per poi sciogliersi.
Una lunga pausa dal mondo della musica, così
Coverdale aveva descritto questa sua scelta. Ricaricare le pile, capire che direzione prendere. Una cosa era certa però, che il singer inglese non sarebbe uscito così tanto presto dal mondo della music business, che a lui tanto aveva dato, e nel quale egli stesso ha sempre affermato di trovarsi a suo agio, dove potesse esprimersi al meglio.
Passeranno pochi anni, e già nel 1993
Coverdale mise in piedi il progetto Coverdale/Page assieme a, appunto, Jimmy Page, ex chitarrista dei Led Zeppelin. Seppur di ottima fattura, le vendite del disco riuscirono a garantire ai due musicisti un paio di date in Giappone, dovendo però annulare un tour che doveva tenersi originariamente su suolo americano. Questo progetto però riuscì a riportare in auge il nome degli
Whitesnake, che si riunirono in una formazione rimaneggiata l’anno seguente prima con la pubblicazione di un Greatest Hits, e poi nel 1997 con il rilascio di
“Restless Heart”, che uscì sotto la dicitura di
“David Coverdale & Whitesnake”.
“Restless Heart”, più di tutti gli altri dischi della band, è un disco che non può esser paragonato a mio modo di vedere con nessun altro. Questo perché presenta un sound molto malinconico che poco si era visto nella precedenti release del Serpente Bianco. Pensiamo all’iniziale
“Don’t Fade Away” che si regge sulle tonalità calde e mascoline di
Coverdale, o sul mid tempo
“Too Many Tears”, scelto anche come singolo, dove ancora una volta è il cantante a regalare un fascino unico grazie al suo carisma, e a passaggi di tastiere ben bilanciati. Certo, alcuni episodi nettamente più blues sono sempre presenti come in
“You’re So Fine”, che stacca in maniera neanche troppo netta dagli altri pezzi presenti, ma anche con la finale
“Lost Woman Blues”, mentre con
“Cryng” si è davanti a una delle migliori canzoni del disco, con riff massici ma eleganti allo stesso tempo, e un ritornello costruito in maniera eccellente. Convince anche la cover di
“Stay With Me” (di Lorraine Ellison), dove
Coverdale la interpreta a suo modo, grazie anche a un ottimo lavoro alla chitarra di Adrian
Vandenberg.
Queste coordinate più intimiste, le quali mostrano un Coverdale quasi messo a nudo in un album che dei vecchi Whitesnake ha poco e niente, fanno di
“Restless Heart” un album unico, a sé stante, che quasi sicuramente fallirà nell’accontentare gli amanti di dischi come
“1987” o
“Slip Of The Tongue”, ma che presentano il frontman della band in una versione più genuina, e priva di quella tinta Glam del passato. Decisamente un disco da riscoprire.