Nono disco per i
Ten.
Gli estimatori del gruppo sono in trepidazione: dovranno subire un’altra delusione cocente, come quella patita dopo l’ascolto di “Return to evermore” e “The twilight chronicles” o potranno nuovamente gioire per una pubblicazione
degna di meraviglie del passato come “The name of the rose”, “Spellbound” e “The robe”?
La buona notizia è che le verbosità dei lavori del 2004 e 2006 sono state accantonate e che in “Stormwarning” torna l’
epic hard rock melodico screziato di metal ostentato dalla formazione inglese nei suoi momenti migliori (ai titoli già citati aggiungerei “Far beyond the world”), mentre per una sua collocazione in un’ipotetica graduatoria di merito nell’ambito della discografia dei nostri, sarà presumibilmente necessaria un’attenta indagine “individuale”, poiché in questi casi subentrano, oltre all’imprescindibile gusto, anche imponderabili fattori “emotivi”.
Personalmente ritengo il nuovo sigillo da studio dei Ten un ottimo prodotto, capace di rappresentare con classe e temperamento quel suono regale, appassionato e ficcante ereditato da Magnum, Rainbow e Whitesnake (senza dimenticare certe cose del compianto Gary Moore, i Thin Lizzy o i Dare), che li ha resi uno dei più concreti riferimenti europei del genere.
Dopo aver in qualche modo “rassicurato” i fans, possiamo passare ad approfondire la questione, cominciando dall’analisi degli effettivi che oggi assecondano l’indispensabile Gary Hughes nella tutela del sontuoso progetto … se l’ingresso di Mark Sumner al basso appare poco più che una
funzionale nota di cronaca, quello di Neil Fraser, nel difficile ruolo che fu di Vinny Burns, si manifesta con la fisionomia di una scelta oculata e lodevole, laddove la presenza di un Mark Zonder (Warlord, Fates Warning, …), ospite dietro i tamburi, è tanto “sorprendente” quanto efficiente, per una prestazione veramente impeccabile,
misurata (come richiesto, tra l’altro, da un ambito stilistico che si fonda su aspetti poco
vincolati alla tecnica e alla fantasia ritmica) ma non per questo assolutamente
subordinata.
Le melodie (eccolo un elemento davvero fondamentale), pilotate con la consueta maestria dalla voce di Gary, si stagliano amalgamando forza, enfasi e sensibilità, e anche grazie all’impegno dell’esperto Dennis Ward in sede di missaggio e produzione, esibiscono spessore e profondità, garantendo all’ascoltatore appassionato quella miscela di coinvolgimento e di benefiche scosse
endorfiniche sempre “pretesa” quando si tratta di un gruppo di questo calibro.
Arrivati, dunque, al “cuore” di ogni Cd musicale, le sue canzoni, impossibile non rimanere “toccati” dalle vibranti ambientazioni di “Endless symphony”, che si dividono equamente tra battiti tribali, rigoglio di tastiere, progressioni chitarristiche e intensità vocali, il tutto coordinato da un refrain di buona presa, mentre tocca a “Centre of my universe” e “Kingdom come” “scavare” ancora più in fondo nei sensi, con la prima gratificata da una linea melodica da brividi (bello il contrasto armonizzato tra
dominante pastosità e una forma
complementare di
fisicità drammatica, che arriva a tratti
quasi a lambire addirittura i Metallica di “Enter sandman” e certe atmosfere dei Queensryche) e la seconda pregna di fervido e magniloquente incanto sonoro.
La title-track, in virtù della sua appagante ispirazione “classica”, s’insedierà anch’essa tra le preferite dai supporter del gruppo ed è verosimile prevedere una sorte equivalente pure per "Destiny”, illuminata da un prepotente afflato celtico e maestoso.
“Love song” scandaglia con un pizzico di leziosità il versante romantico dei Ten, “The hourglass and the landslide” quello più squisitamente AOR, con risultati ben più convincenti ed emozionanti.
“Book of secrets” omaggia con buongusto e congruità l’hard-rock canicolare e seducente dei Whitesnake, “Invisible” sembra voler riservare un analogo trattamento all’arte dei Bad English e con i Beatles (e un tenue bagliore di Led Zeppelin) evocati nell’arrangiamento orchestrale di “The wave”, si completa il
tributo alla grande “tradizione” del rock offerta da una band che con questo “Stormwarning”, a dispetto delle summenzionate opinabili discussioni di tipo “gerarchico”, riconquista sicuramente una posizione di rilievo tra l’aristocrazia del settore.