Copertina 7,5

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2010
Durata:51 min.
Etichetta:Metal Mind Productions

Tracklist

  1. JUDGEMENT DAY
  2. FEAST OF THE DEVIL
  3. PHOENIX RISING
  4. WAR MACHINE
  5. GREAT EXPECTATIONS
  6. AFTER ALL
  7. THE LAST LAUGH
  8. WORLD WITHOUT PITY
  9. MY INSANITY

Line up

  • Doogie White: vocals
  • Cliff Evans: guitar
  • Mick Tucker: guitar
  • Chris Dale: bass
  • Dave "Grav" Cavill: drums

Voto medio utenti

Iniziamo subito col dire che i nostalgici del ruvido “Filth hounds of hades” e delle vocals catramate di Algy Ward farebbero meglio a stare lontani da questo “War machine”, anche se francamente credo che si tratti di un avvertimento superfluo, almeno se tali elegiaci personaggi possiedono poi anche quel minimo di cultura musicale richiesta per conoscere anche solo in maniera approssimativa le peculiarità e il curriculum del suo sostituto.
Eh già, i Tank targati 2010 hanno davvero poco a che fare con quelli del 1982, anche in fatto di line-up (l’ingresso nella band dell’ex White Spirit Mick Tucker risale al 1983 e ha preceduto di poco quello del suo “partner in crime” Cliff 'The Riff' Evans), ma chi conosce la loro cospicua “storia” non faticherà troppo a individuare anche nelle note di questo lavoro la loro fervida passione per il british metal, oggi resa più raffinata e matura dalla voce altisonante di Doogie White, figlia luminosa della più nobile tradizione dell’hard n’ heavy, che, nonostante le importanti possibilità d’espressione (Ritchie Blackmore's Rainbow, Cornerstone, Yngwie Malmsteen, Praying Mantis, …), non ha finora trovato quella situazione stabile che ne potesse garantire una netta consacrazione.
Speriamo che tale condizione si possa realizzare proprio con i Tank, gruppo con il quale sembra aver trovato una particolare sintonia, offrendo, oltre alla consueta eccellenza tecnico-emozionale alimentata dal timbro e dalle movenze interpretative del compianto maestro Ronnie James Dio (con Gillan e Biff Byford a completare la schiera dei plausibili ispiratori), pure una verve e un’energia evidentemente stimolata dalla voglia di “riscatto” e da un materiale compositivo di notevole spessore artistico.
“War machine” è, infatti, un disco costruito prima di tutto sulla brillantezza delle melodie e che poi sa far stagliare la sua imponente e coinvolgente architettura sonora grazie alla forza dei riff e dei solos (spesso all’unisono, per la gioia degli estimatori del “twin-guitars sound”), alle cadenze misteriose e suggestive di una formula espositiva “rigorosa” eppure anche piuttosto “creativa”, che entusiasma per la sua “classicità” senza dare mai l’impressione di abbandonarsi ad un’arida forma di trascrizione.
Al gratificante risultato hanno senz’altro contribuito efficacemente il bassista Chris Dale (per lui un passato negli Atom Seed e nella band di Bruce Dickinson) e il drummer Dave "Grav" Cavill, ma dopo aver doverosamente incensato la generosa laringe del vocalist scozzese, ritengo indispensabile soffermarmi un istante sulla performance della coppia chitarristica Evans / Tucker, veramente impeccabile per affiatamento, efficacia, carica e sensibilità nel sapersi spartire equamente il proscenio.
Nell’ora scarsa del Cd c’è tutto quello che gli estimatori di Rainbow, Saxon, Maiden, Sabs e Purple possono desiderare: il fascino grave e oscuro di “Judgement day”, l’enfasi drammatica di “Feast of the devil”, della favolosa title-track e di “World without pity”, la vigoria ad ampio respiro di “Phoenix rising”, i dinamici tributi al seventies hard-rock scanditi da “Great expectations” e “The last laugh” (un anthem a “presa rapida”!) e poi ancora addirittura la passionalità di una vibrante ballata intitolata ”After all”, in cui il tocco leggero delle tastiere esalta una sontuosa linea armonica.
Su tutto questo “ben di Dio” (!), poi, si distingue ulteriormente un pezzo come “My insanity”, dove l’afflato epico si stempera in una melodia vaporosa, magnetica e volubile a cui è certamente arduo sottrarsi.
Probabilmente, vista la loro profonda evoluzione, dal punto di vista squisitamente etico e per non rischiare spiacevoli circostanze (incorrere negli strali di qualche inflessibile fan della prima ora o, dall’altro lato, non godere del giusto credito a causa di un’antica catalogazione), i Tank avrebbero fatto meglio a cambiare denominazione, e tuttavia ritengo che questa nuova “macchina da guerra” britannica abbia i mezzi e gli uomini per vincere la sfida di un mercato sempre più depresso e saturo e magari superare persino le critiche “moralistiche” che fatalmente la accompagneranno.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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