Dopo le amare vicende della SPV e la cancellazione della partecipazione al
Progressive Nation Tour insieme a Dream Theater e Opeth, gli svedesi
Beardfish tornano in grande stile sul mercato con il nuovo album
Mammoth.
Rikard Sjöblom aveva recentemente parlato di un disco molto più aggressivo dei precedenti, che avrebbe potuto anche sconfinare nel metal. Ebbene, in alcuni frangenti (come in
Green Waves) l’intenzione si sente, ma non fa altro che aggiungere elementi nuovi al sound della band, che non viene però stravolto e continua a rimanere saldamente ancorato alla lezione impartita anni fa da gruppi come Genesis, Yes, Gentle Giant e tanti altri (tra cui sono convinto ci siano anche parecchi protagonisti del prog italiano, anche se nessuno li cita mai). Proprio per questo, in passato in molti hanno accusato i Beardfish di scopiazzare qua e là senza personalità. Se devo essere sincero, non la penso assolutamente così: certo, hanno attinto a piene mani dal prezioso passato del progressive rock, ma sfido chiunque ad ascoltarsi la discografia di uno qualsiasi dei gruppi citati in precedenza e poi mettersi a scrivere un album di questo livello.
Per il resto, i Beardfish sono ormai una realtà consolidata e si dimostrano all’altezza della propria fama: i 7 pezzi che compongono il lavoro rappresentano ognuno un mondo fatto di colori fantastici ed emozioni oniriche, un viaggio incredibile carico di pathos e suonato divinamente. Tra i pezzi più riusciti, la suite
And The Stone Said: If I Could Speak e la conclusiva
Without Saying Anything (feat. Ventiloquist), che da sole valgono il prezzo del disco e una buona mezz’oretta di godimento puro.
Riservato ai progster più intransigenti e più legati al sound dei padri fondatori del genere. Per gli altri, difficile dire quanto possa piacere. Certo, se avete voglia di aprire un po’ i vostri orizzonti metallosi potrebbe essere una bella idea partire da un prodotto di ottimo livello come questo. Da parte mia, promosso a pieni voti e candidato tra i top album dell’anno.
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