Ho sempre nutrito stima per
Michael Monroe, personaggio genuino, che ha provato sulla propria pelle cosa significhi VIVERE il rock ‘n’ roll, nel bene e nel male, con eccessi, lutti, disagi, ma, fortunatamente, anche soddisfazioni, riconoscimenti, e tutto ciò che può derivare da una carriera trentennale. Già, trentennale… quindi significa che, come molti suoi illustri colleghi, il biondo finlandese è ormai arrivato al capolinea e pubblica album scialbi solo per avere un pretesto per potersi imbarcare in un nuovo tour? Beh, bastano le prime note di “Trick of the wrist” per accorgersi che si tratta dell’esatto contrario. Cavolo, un pezzo fresco e spontaneo, cosa starà succedendo? Vabbè, si sa, in genere le migliori cartucce vengono sparate all’inizio, il resto del disco sarà di una noia mortale… Macché… “’78”, il secondo pezzo, mi ha lasciato basito, e non posso fare a meno di ascoltarlo almeno un paio di volte al giorno da quando ho il disco. A dispetto di un inizio sotto tono, si trasforma in un brano devastante che ci catapulta, non a caso si intitola così, in quel periodo storico in cui esplodeva il punk, quello vero, non le schifezze patinate di oggi. Un brano ruffiano, sporco, graffiante, come del resto lo è tutto il disco. Sfrontato, energico, diretto, “Sensory overdrive” è un manuale perfetto di come si possa ancora oggi, nel 2011, suonare dello sleazy rock d’autore, come sempre mischiato alle solite influenze blues, hard rock, e, appunto, punk. E per riuscire in questa impresa il buon Michael si è affidato a dei cavalli di razza (date un’occhiata alla formazione qui a lato), in particolare a Ginger dei Wildhearts, e a Sami Yaffa, già suo compagno nei seminali Hanoi Rocks, personaggi che, con buona pace delle nuove leve (vedi Crashdiet, Hardcore Superstar, Reckless Love e compagnia bella), il genere l’hanno creato. E alla loro più che avanzata età hanno ancora una cosa in più degli altri: la capacità di scrivere “canzoni”. Sì, canzoni, che ti penetrano il cervello fin dalla prima volta che ascolti il refrain, che ti marchiano a fuoco, semplici ma efficaci, sporche, strafottenti, volutamente volgari, come dovrebbe essere il rock ‘n’ roll, d’altra parte, non pezzettini scialbi per fighetti che si travestono da finti rocker e la sera bevono coca cola. Michael Monroe è carismatico, riesce con una semplice strofa a catturare l’essenza del brano che sta interpretando, e mai avrei pensato di trovarmi di fronte ad un disco praticamente perfetto, senza assolutamente la benché minima presenza di filler. Ogni brano svolge al meglio la propria funzione, sia che si tratti di scudisciate sleazy/punk (“Got blood”, “Bombs away”), sia che si tratti di brani più delicati, come ad esempio “Gone baby gone”, elegante e di classe. Insomma, se non comprate questo disco non avete capito nulla del rock ‘n’ roll. E il fatto che nell’ultima traccia “Debauchery as a fine art” partecipi ai cori un certo Lemmy Kilmister dovrebbe farvi riflettere sulla bontà dell’album, no?