I francesi
Arkan prendono il loro nome dai cosiddetti Arkan,ovvero i 5 pilastri sacri su cui si poggia la fede islamica: professione di fede, preghiera, elemosina, digiuno e pellegrinaggio. Da questo e dai nomi dei componenti possiamo capire quanto la Francia sia solamente la patria ospite dei 5 musicisti, le cui origini algerine e marocchine sono quantomeno palesi. E la religione, oltre a consigliare il nome al gruppo, la fa abbastanza da padrona anche nelle lyrics del disco, senza però mai sfociare nell’estremismo.
Ma parliamo della musica, cosa suonano questi Arkan? Prima di tutto,
"Salam" è la seconda uscita discografica dei transalpini, dopo
“Hilal” del 2008. Rispetto al predecessore, "Salam" suona molto più variegato, molto più orientato al death metal, soprattutto negli ottimi growls di
Florent, ma allo stesso tempo accoglie al suo interno svariati riferimenti alla musica araba e orientale più in generale, creando una commistione apparentemente idiosincratica di generi.
Mus e il suo oud (una specie di liuto turco) in particolare fanno sentire il loro apporto praticamente in ogni canzone, accompagnando gli altri strumenti o destreggiandosi in assoli al limite del flamenco (ascoltare l’inizio di
“Amaloun Jadid II” per farsi un’idea). Quando poi i toni calano e la musica abbandona le sponde del death metal, la voce di
Sarah prende il sopravvento e ci culla in atmosfere propriamente arabeggianti, spalleggiando alla grande una sezione estrema altrettanto buona. Ed è proprio questa saggia alternanza il punto di forza che determina la riuscita di questo disco, perché in ogni canzone si può trovare la furia e la melodia, in un equilibrio quasi perfetto. Quasi, perché ogni tanto si ha la sensazione che la voce di Sarah conceda un po’ troppe pause, ma è un difetto ampiamente trascurabile data la qualità generale che permea il disco.
Per fare un paragone con band più conosciute, potremmo definire gli Arkan una sorta di
Orphaned Land con l’occhio più strizzato verso il death. E a testimonianza di ciò, sulla traccia
“Deus Vult” troviamo come ospite proprio
Kobi Farhi, frontman della band israeliana, che fornisce una prestazione in linea con l’ultima uscita della sua band, basata soprattutto sulla melodia, a fare da contraltare alla rabbia di Florent.
In conclusione, un ottimo album, testimonianza del fatto che anche nel 2011 c’è spazio per osare, per cercare nuovi suoni e per unire culture (e religioni) sotto un'unica egida, creando sonorità nuove e variegate. La produzione poi è curata da
Fredrik Nordstrom (
Dark Tranquillity, In Flames), una vera garanzia. Ascoltateli assolutamente se vi piace il death metal, ma ascoltateli anche se non è solitamente nelle vostre corde, perché potreste scoprire una nuova realtà che potrebbe letteralmente conquistarvi.