Metal, glam-rock, gothic, industrial ed elettronica. La miscela sonica di per sé è tutt’altro che rivoluzionaria, ma la cura (ottima, tra l’altro, la resa sonora, grazie anche alla masterizzazione affidata al noto George Marino, e preziosa la
glitterosa veste grafica), la vocazione alla materia e la perizia degli
Zap nell’affrontare la questione sono sicuramente degne di attenzione e di approvazione.
Il duo che alimenta il progetto, coadiuvato da ospiti di rilievo tra cui Steve Sylvester (Death SS), Dario “Dust” Faini (Elettrodust), Henry Guy (Post Traumatic Stess Disorder) e Christian Ice (Starkiller Sound, Prophilax), offre, infatti, in questo Ep dal titolo così singolare, una convincente versione di quel suono che ha fatto la fortuna di gente del calibro di The Kovenant, Deathstars, Murderdolls, Marilyn Manson e White Zombie, decidendo di alleggerirlo nella
forma (l’ironia prevale sulla
coreografica malvagità) e nella
sostanza (privilegiando, per lo più, un vaporoso approccio di marca
glam-synth-pop) e fornendo, così, un’immagine artistica decisamente intrigante e gradevole, pur bazzicando su un terreno certamente
accidentato e
pericoloso.
Il rischio di una “replica” priva di temperamento era, in effetti, assai consistente e pure la scelta di trattare una cover così celebre e collaudata, non lasciava del tutto tranquilli, ma l’intelligenza del “gruppo” è riuscita a dissipare i timori, poiché, come anticipato, la musica, sottoposta al filtro del buon gusto e della personalità, risulta fresca e persuasiva anche quando viene affrontato un manifesto generazionale impareggiabile come “All the young dudes” (scritta appositamente da David Bowie per Ian Hunter e i suoi Mott The Hoople, che proprio grazie ad essa rilanciarono la loro traballante carriera … nota a beneficio degli eventuali
extraterrestri “all’ascolto”).
La title-track (proposta anche in forma di remix espressamente natalizio, con un incremento della mole chitarristica da segnalare tra gli aspetti peculiari della variante) è un gioiellino di contaminazione “ragionata”: un quarto di electro-industrial, un quarto di affilate chitarre tradizionalmente hard/metal, un quarto di attitudine vagamente “sperimentale” (tenui riverberi swing, una stuzzicante sezione di fiati, …) e un quarto di melodia accattivante, gratificata da un bel refrain “tormentone” … detto così, il cocktail sembra semplice da elaborare, ma vi assicuro che evitare la stucchevolezza e il riciclaggio acritico degli ingredienti non lo è per nulla.
“Summer of '89”, rappresenta, invece, una sorta di singolare ibridazione in chiave sintetica dell’AOR (ogni riferimento alla hit di Bryan Adams è puramente … voluto), in cui convivono malinconia, campionamenti, miele e appena un pizzico di vetriolo, mentre “Shibboleth” interpreta il momento di catarsi del dischetto, sviluppata attraverso un sound saturo e adrenalinico che manifesta lancinanti flussi nu-metal avvolti da inebrianti fragranze mediorientali, per un risultato ancora una volta piuttosto efficace, pur nella sua
tipicità.
Prima di esprimere un giudizio “definitivo”, sarà ovviamente necessario verificare le qualità degli Zap impegnate su una distanza maggiore, ma per il momento non posso che promuovere senza troppe riserve il loro lavoro … e poi, sono d’accordo anche sul tema fondamentale evocato dall’Ep … ai miei tempi i regali, a Natale, li portava una versione imberbe del carismatico Nazareno, mica un vecchio grassone vestito di rosso!
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