Pur avendo una storia decennale alle spalle, arricchita dall’uscita di tre EP e l’aver condiviso il palco insieme ad autentici mostri sacri del genere quali Cannibal Corpse, Nile, Obituary, Napalm Death e Necrophagitst, i nordirlandesi
Condemned giungono solo oggi all’agognato full lenght grazie all’interessamento della Underground Movements/Rundown Records.
Il brutal death metal dei Nostri si muove su coordinate appartenenti alla scuola americana. Non mancano i riferimenti agli omnipresenti Cannibal Corpse ma anche quelli di “gentaglia” come Broken Hope, Dying Fetus e Cephalic Carnage.
L’impegno non manca, così come la voglia di non appiattirsi ad una unica e continuativa soluzione compositiva per i dieci pezzi che compongono il cd, cercando di variare il più possibile senza per questo diminuire di intensità o esser tacciati di ammorbidimento.
Accanto a brani tritaossa come l’opener “The dark place”, troviamo sia pezzi più cadenzati come l’interessante “Here come my eyes”, sia dal mood più “cannibalistico” quale “My blood runs black” o la stessa titletrack (fra i pezzi migliori del lotto).
La produzione non è eccelsa e su questo punto non è bene tacere. Il suono del basso è praticamente inesistente, mentre quello della batteria risulta fin troppo secco e povero di spessore. Fortunatamente il missaggio è riuscito a non sovraesporre le linee vocali del singer Peter Clarke rispetto agli strumenti evitando di rovinare il risultato finale di “A dying art”.
“A dying art” non è candidato al premio come disco death metal dell’anno, però la prima fatica dei Condemned non faticherà ad accontentare i più ortodossi deathster in circolazione, fornendo loro una discreta iniezione di violenza sonora per il risveglio mattutino.
Se consideriamo “A dying art” un punto di partenza e non di arrivo a corollario dei dieci anni di carriera appena passati, esiste la seria possibilità che col prossimo lavoro i Condemned si tolgano definitivamente l’etichetta di “fenomeno underground”.
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