Arrivano da Volterra (PI) i
Tuchulcha, band dal moniker tanto impronunciabile quanto originale ed affascinante. Fatte le dovute ricerche ho appreso che si tratta del nome di una divinità etrusca (da sottolineare e premiare la scelta di omaggiare la propria terra), dall’aspetto decisamente poco rassicurante, visto che la sua raffigurazione più comune ci presenta un dio dal corpo umano, becco da rapace, orecchie d’asino, capelli formati da serpenti, ali e zampe da uccello. Un bel minestrone insomma, ma tant’è…
Sfortunatamente per i nostri ragazzi toscani, altrettanta originalità non risiede anche nella proposta musicale, assestata su un death metal fin troppo scolastico e stantio. Chi mi conosce sa che sono la persona più lontana dal concetto di originalità a tutti i costi, io in un album o in un demo cerco la sostanza, sticazzi se suona già sentito o meno, l’importante è che colpisca e convinca. Quindi il problema con i Tuchulcha non è, per me, tanto il fatto che la loro proposta non ci regali nulla di nuovo, quanto, piuttosto, il fatto che si sente troppo un’immaturità di fondo che solo raramente viene soppiantata da riff interessanti (vedi “Burning in Velathri”, più dinamica e spigliata, forse l’episodio meglio riuscito del demo). I riff sono troppo squadrati e poco dinamici, così come le ritmiche, quasi sempre assestate su tempi medi fin troppo scolastici. E in generale sono proprio i brani nella loro interezza ad essere troppo lineari, manca quel cambio di tempo che ti spiazza o quel riff che ti fa saltare dalla sedia, e se a questo aggiungiamo anche una registrazione non proprio ottimale e troppo poco potente, visto il genere proposto, le cose peggiorano un po’.
Non mi sento di stroncare in tutto la band toscana, perché percepisco una certa sincerità nella loro proposta, e soprattutto perché qualche bel riff ogni tanto spunta fuori, ma è troppo poco per alzare il giudizio finale del demo, ancora troppo acerbo per poter sperare di lasciare un segno tangibile nella scena estrema italiana. Se si eccettua il buon growl di Emiliano, che però avrebbe potuto lavorare un po’ di più sulle dinamiche della voce, per il resto abbiamo a che fare con un death troppo monotono (chi ha detto Six Feet Under?), di chiara derivazione nineties, ma che non colpisce a fondo, e nel genere questo è un difetto fin troppo rilevante. Mi riservo di esprimere un giudizio definitivo dopo l’uscita del full length, che so essere prossima. Vediamo se nel frattempo i Tuchulcha sono riusciti a smussare gli inevitabili errori dettati dall’inesperienza.
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