Gli
In Flames con questo
Sounds Of A Playground Fading arrivano al fatidico album numero dieci, un traguardo importante in tempi di crisi, di dischi che non si vendono più, di certezze che tendono a sbiadire.
Fino a qualche anno fa le band che riuscivano a vivere di musica in proporzione erano sicuramente molte di più, e un buon numero non aveva alcun problema a proporre il proprio stile musicale senza compromessi, senza dover strizzare l'occhio a delle fette di mercato che ne garantirebbero la sopravvivenza a scapito dell'integrità artistica. Ma adesso siamo nel 2011 e qualche cosa è cambiata, si è evoluta, ma non sta a me decidere se in meglio o in peggio, fatto sta che il ritorno degli In Flames appare proprio come il frutto di un pesantissimo compromesso: non è esattamente Heavy Metal, non è nemmeno marcatamente Rock, possiede una confusa (e per niente spontanea) vena vagamente Pop, insomma è un miscuglio poco digeribile di sonorità che la band sta tentando di sperimentare da qualche anno a questa parte.
Io non sono uno di quelli rimasti al 1996 con The Jester Race (è meglio non chiedermi cosa penso di quel disco), ma obiettivamente faccio molta a fatica ad apprezzare brani come Fear Is The Weakness, Liberation, A New Dawn, The Attic oppure la pseudo-Metal The Puzzle, una canzone forzata sin dalla prima nota, l'ultimo tentativo di rimanere ancorati a un certo passato che il gruppo non riesce a rielaborare.
Tutto appare concepito come un insieme di linee melodiche e di ritornelli atti a "sfondare", eppure arrivano in maniera fredda, in alcuni casi ci vogliono ripetuti ascolti per memorizzarli, e l'effetto non è assolutamente paragonabile a quello suscitato da pezzi come Pinball Map e Only For The Weak (due a caso). Le chitarre e la loro importanza si è ridotta ai minimi sindacali, fungono da accompagnamento per un Anders Fridén sempre più vicino a un'anonima e innocente voce pulita che sembra distaccata da tutto il resto.
Compaiono con una certa frequenza anche degli arrangiamenti sintetici, ma giusto appena, ecco questa è la terminologia esatta: gli In Flames del 2011 sono un gruppo da "giusto appena", molto lontani da quell'insieme di musicisti in grado di rielaborare e generare nuovi stili. Adesso li subiscono, anzi, subiscono il mercato, ne sono diventati schiavi e farebbero di tutto per compiacerlo, a partire dal logo: identico a quello di tante altre band made in USA appestate da un MetalCorePop di dubbio gusto.
Purtroppo è da Soundtrack To Your Escape del 2004 che gli In Flames non lasciano al pubblico un qualcosa di concreto. A ogni nuovo disco c'è sempre qualcosa di più etereo e inafferrabile, di anonimo, di scolastico, di elementare e di banale, un qualcosa di facile e sbrigativo che in maniera subdola viene definita "evoluzione, sperimentazione, originalità".
Termini che circoscrivono il vuoto e nulla di più.