Gran bel disco, questo esordio sulla lunga distanza per i
Fever di Terni, una formazione che ha sicuramente sviscerato a fondo le migliori prerogative dell’hard n’ heavy
settanta/ottantiano e le ha assimilate in modo da evitare di crogiolarsi nell’ottusa imitazione dei vari Bon Jovi, Whitesnake, Kiss, Tesla, Starz e Van Halen, allo scopo di trovare, attraverso un songwriting piuttosto ispirato e illuminato, una “propria” strada tra i meandri dei sentieri ampiamente battuti da molti altri frequentatori del settore.
Sarò pedante, ma solo una vocazione autentica e una notevole classe possono distinguere chi affronta il genere con disarmante naturalezza e attendibilità dai plagiari superficiali e dai mestieranti “scientificamente” efficaci, ed ecco che è abbastanza agevole identificare nei nostri dei valorosi rappresentanti della prima onorata categoria, in grado di accogliere influssi collaudati e di immergerli in strutture armoniche costantemente intense e coinvolgenti.
Tecnica specifica, sensibilità, equilibrio e una capacità innata nel reperimento della melodia vincente, rappresentano, così, le armi principali del quartetto umbro, praticamente
incapace di affidare al programma del suo
full-length di debutto un momento
veramente infelice o trascurabile, dimostrandosi artefice di un tessuto musicale piuttosto ricco di sfaccettature e di forza espressiva, sia che si tratti di percorrere la via della coreografia sonica
anfetaminico / anthemica (“I wanna rock this night”, “Burnin’ train”, gratificata da un suggestivo break , “Life’s too short to drink bad wine”), di favorire cadenze cromate e ariose (“Fevernova”, il gioiellino “Lady Lazarus”, il brillante
proto-class metal “Long wait”) o di scegliere soluzioni maggiormente languide (“For you”, “Illusion avenue”, un’affascinante e vivace dissertazione “adulta”) rimanendo sempre ampiamente credibile e polarizzatore di emozioni anche quando le influenze si fanno leggermente più pressanti o i riff diventano più familiari (“Keep doing” sconta un fraseggio AC/DC-
iano, ma viene premiato da un’architettura sonora fresca,
catchy e trascinante, così come la
solita rilettura di consolidati temi NWOBHM attuata in “Mindreader” appare comunque sufficientemente godibile da scongiurare concitate forme di disapprovazione).
Ponendo l’accento, a livelli di singoli, sull’animosa espressività della voce di Phil Fever, un crogiolo di ascendenti timbrici in grado di sfuggire ad immediati e fastidiosi paragoni, concludo la disamina identificando i Fever come una convincente rivelazione, che attende solo la vostra attenzione per conquistare la giusta visibilità.
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