Il mondo del metal è sempre stato strano e bizzarro, e spesso e volentieri è capitato di vedere incensate delle band che poi a lungo andare si sono rivelate dei veri e propri fumi di paglia. Negli ultimi anni questo fenomeno si è ampiamente ampliato, ed è fin troppo frequente leggere elogi spropositati, presi magari dalla foga del momento. Beh, uno degli ultimi fenomeni portato alla ribalta dai riflettori mediatici sono proprio i
Tornado. Pompati all’inverosimile dai comunicati stampa promozionali e da più di qualche recensione, si presentano al popolo metal con l’intenzione di ‘glamizzare’ il thrash metal, due generi agli antipodi fin dalla notte dei tempi. L’idea in sé per sé non è neanche da condannare a prescindere, anche se sono sicuro che farà rizzare i peli tanto ai thrasher più incalliti quanto ai glamster più glitterati. Voglio dire, ve lo vedete il burbero Kerry King saltellare sul palco dietro il gonnellino di Nikky Sixx? Io non tanto… Ma al di là di problemi e considerazioni ideologiche, quello che non funziona è proprio il songwriting, visto che alla fine si tratta semplicemente di thrash metal abbastanza scontato imbastardito da ritornelli e melodie più catchy del solito. In poche parole, del tanto sbandierato glam c’è ben poco, se non il look e l’attitudine del singer, la sua voce pulita, e qualche refrain di troppo. Per il resto ci troviamo dinanzi ad un semplice disco thrash, per lo più banale, che ha come unico scopo quello di cercare a tutti i costi di catturare l’attenzione dell’ascoltatore al primo ascolto. Quindi la differenza tra i Tornado e l’infinità di band spuntate fuori durante questo periodo di thrash revival risiede tutta qui. Nulla di eccitante o di entusiasmante, solo riff sentiti e risentiti, su una sezione ritmica standard, accompagnati dalla voce di Superstar Joey Severance che si differenzia dai suoi colleghi screamer solo per il tono pulito, ma che risulta alla fine poco incisiva. Un po’ poco, direi, per gridare al miracolo… Per il resto, abbiamo un disco registrato ottimamente da Peter Tagtgren nei suoi Abyss Studios, dalle sonorità a cavallo tra il moderno e la solita strizzatina ai suoni che furono, suonato altrettanto egregiamente, ma che è deficitario proprio nei contenuti. Di dischi così già nell’epoca d’oro ne sono usciti a decine, pensate ora che stiamo, appunto, nel pieno del revival del genere… Insomma, non stronco del tutto “Amsterdamn, Hellsinki”, perché in ogni caso si fa ascoltare, ma mi chiedo quanti di voi lo riprenderanno tra un mesetto per metterlo di nuovo nello stereo, visto che alla fine dell’ascolto non vi resterà quasi nulla che potrebbe spingervi a farlo… Se poi bisogna accettare a prescindere ogni nuova release thrash solo perché ora come ora fa figo allora il discorso è differente…
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