Parlare della nuova uscita di una delle più influenzi band del decennio scorso non è cosa facile, si rischia facilmente di scadere nella retorica, nel tentativo di ricordare quanto siano stati importanti e quanto abbiano dato al metal, trascurando magari di parlare del disco in questione. Partirò proprio colpendo al cuore l'argomento, cioè trattando subito la materia del nuovo platter firmato Hypocrisy: secondo me un disco deve essere valutato come un tassello di un mosaico che nel nostro caso è la discografia della band; il tassello che risponde al titolo di "The Arrival" può forse rappresentare il giusto compromesso tra ciò che la band svedese è stata e ciò che potrebbe diventare in futuro. Il rischio è quello di non accontentare i fan più legati alle origini e allo stesso tempo di non riuscire ad ampliare la propria audience. Le nove composizioni sono di indubbio valore emotivo, componente molto importante e spesso trascurata, trasudano passione e calore umano (vedi l'opener, ma anche "Stillborn"); l'impatto è stato ben congeniato anche grazie ad una produzione davvero ottima ad opera di quel piccolo grande uomo che è Peter Tägtgren, voce e chitarra degli Hypocrisy, ma anche mastermind dei Pain e produttore rinomatissimo in Europa; la sua voce graffiante e "malata" esprime al meglio le liriche sugli alieni e Mikael al basso trascina alla grande un Lars al top della forma. Allora cosa può mancare a questo disco? Probabilmente lo slancio; mi spiego meglio: i Nostri con il precedente Catch 22 avevano osato addentrarsi in territori molto diversi dai loro canonici (anche se non sono mai stati una death metal band comune avendo fatto grande uso di tastiere e synth in passato) e forse con questo disco ci si poteva aspettare da loro una maggiore padronanza della nuova forma da loro incarnata. Invece li ritroviamo in forma, ma con composizioni che si riallacciano a quanto già fatto e già detto con "Abducted" e "Hypocrisy", senza nulla aggiungere. Non era propriamente quanto si potesse pretendere da una band pioniera e in continua evoluzione; ci sono gruppi nati per riproporre un certo tipo di musica e alcune soluzioni, con classe e stile (vedi Maiden e Manowar ad esempio) alle quali questo riesce egregiamente e ci sono band che sono nate col preciso scopo di evolversi disco dopo disco. Gli Hypocrisy sono sicuramente una di queste e questa volta non sono riusciti a fare centro. Questo non vuol dire che "The Arrival" sia un disco scarso, anzi le nuove canzoni scorrono via che è un piacere e hanno un tiro invidiabile e probabilmente ascoltandole fischieranno le orecchie a decine di band nord-europee, ma forse non è giusto accontentarsi quando siamo di fronte a certi gruppi come gli Hypocrisy appunto. Ma la classe è innegabile...
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