In questo 2011 con la pubblicazione di ''
Heritage'' gli
Opeth hanno deciso di correre il rischio più grande, ovvero quello di tagliare definitivamente i ponti con il passato: che si tratti di una mossa astuta e ben studiata di
Åkerfeldt e compagni, di un progetto che la band aveva da tempo o semplicemente dell'elogio alla musica preferita del frontman a noi importa poco; cosa fondamentale è ciò che complessivamente gli
Opeth propongono con questo ''
Heritage'', ovvero un insieme di
Progressive Rock tipicamente anni 70, che ricorda tanto i
King Crimson, i
Genesis, ma anche band italiane dello stesso periodo orgogliose di un genere che ormai sembra aver preso una direzione alternativa; il tutto è intriso di influenze provenienti dal jazz, dalla musica popolare e classica, che unendo le proprie forze riescono a rendere ''
Heritage'' un disco quasi fiabesco e questi sono proprio quei toni magici che
Åkerfeldt intendeva conferire al suo nuovo lavoro.
Tutto ha un tocco vintage in ''
Heritage'', a partire proprio dalla bella copertina allegorica che rappresenta passato presente e futuro della band, in tipico stile prog anni 70, disegnata da
Travis Smith e che rimanda tanto, per via delle teste, a quel gran capolavoro che i
Genesis hanno intitolato
Nursery Cryme; lo stesso vale per i suoni, la voce e quell' atmosfera magica e irreale che sfocia nel macabro.
''
Heritage'' non propone assolutamente nulla di nuovo ed ha come obiettivo quello di tramandare la famosa ''eredità'' che i grandi hanno lasciato alla musica; di certo
Åkerfeldt fa il suo lavoro nel migliore dei modi senza curarsi del netto distacco posto dal resto dei suoi dischi con quest'ultimo prodotto nonché dal passato degli
Opeth, che nel corso della loro storia hanno subito notevoli ma graduali cambiamenti; con questo disco sembra quasi che la band voglia chiarire quello che sarà il suo futuro, ben lungi da quel death-prog fino ad ora proposto... Con ''
Heritage'' la band si mette completamente a nudo e ci da modo di comprendere quello che realmente è sempre stata, cosa che fino ad ora ha fatto solo, ad esempio, mediante dei brevi passaggi dei loro brani; non si tratta, quindi, del nuovo che ha in se un po di vecchio, bensì del passato che nascondeva il futuro!
Questo nuovo lavoro sicuramente è un disco difficile da digerire, in particolar modo per i fans abituati al growl, alla ritmica martellante e ai piccoli intermezzi melodici che esaltavano la voce di
Åkerfeldt di un tempo; ''
Heritage'' deve essere assimilato lentamente proprio perchè ricco, dai toni particolarmente pesanti e sfumature varie.
Gli
Opeth in questo 2011 hanno deciso di pubblicare un disco di rottura, che farà parlare molto di sé e soprattutto segnerà una linea di confine tra i vecchi e nuovi lavori; il creare un prodotto di questo genere ha permesso ad
Åkerfeldt di mandare un forte messaggio ai propri fans e soprattutto di stabilire un nuovo inizio per la sua band. Di certo si tratta di un album ben composto e in esso tutto si adatta al nuovo stile, anche il lavoro di produzione in cui lo stesso
Steven Wilson si presta a soddisfare le pretese di
Mikael Åkerfeldt; diretto probabilmente ad un nuovo pubblico avente nuove esigenze, proprio come la stessa band.
In conclusione possiamo affermare che ''
Heritage'', inno ai grandi classici della musica prog-rock, è un buon disco che potrà piacere come non piacere ai fans storici ma che sicuramente va a marcare un nuovo inizio degli
Opeth, come band che ha ormai concluso la propria ricerca stilistica in ambito musicale.