Quello degli
Artillery è stato senza ombra di dubbio uno dei come back, in ambito thrash, passato più in sordina. Da sempre alle prese con il loro status di cult band, i danesi non sono mai riusciti a fare il grande passo e ad entrare, nell’immaginario collettivo, tra i grandi del thrash mondiale. E questo certamente non per loro demeriti, visto che fin dal primordiale “Fear of Tomorrow” hanno sempre dimostrato di avere una marcia in più, a livello compositivo, rispetto a tanti altri loro colleghi ben più osannati. Ma forse è stato proprio questo loro essere sempre un po’ più avanti dei tempi, unito alle loro composizioni di certo non immediate e di facilissima assimilazione, a determinare il loro “insuccesso”, se così vogliamo chiamarlo. Senza scordare che, all’epoca, provenire dalla Danimarca non segnava certo un punto a favore delle band, che avevano senz’altro infrastrutture minori rispetto ai loro colleghi inglesi o americani. Quello che più conta, però, è che al di là dei dati di vendita o dei giudizi degli stolti, chi di dovere ha da sempre riconosciuto il loro immenso valore e la loro importanza storica nel genere. “My blood” è il secondo album pubblicato dopo il ritorno definitivo della band, e purtroppo temo che non avrà sorte migliore del suo predecessore, il che significa che verrà seguito sicuramente da meno gente di quanto meriterebbe. Già, perché così come il precedente “When death comes”, questo nuovo album ha i contro attributi, e dimostra ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, il livello qualitativo della band guidata dai fratelli Stützer, che mettono a segno un altro colpaccio. Lo stile del gruppo resta immutato, quindi abbiamo ancora una volta a che fare con un thrash metal dall’alto livello tecnico, arricchito, come da tradizione, da melodie orientali che sono da sempre il marchio di fabbrica degli Artillery, senza scordare un innato senso melodico che rende le composizioni ancora più accattivanti. Tutto fila alla perfezione, fin dalla splendida opener “Mi sangre (the blood song)”, con un susseguirsi di ottimi riff, assoli da manuale, come non si sente ormai da anni, e, punto di forza in più, le linee melodiche di Søren Nico Adamsen, magari leggermente meno carismatico del singer originale Flemming Rönsdorf, ma sicuramente più dotato tecnicamente. Undici i pezzi che compongono l’album, e si spazia da quelli più melodici a quelli più violenti, come “Thrasher”, un nome un programma, in modo che l’ascolto risulti il più vario e stuzzicante possibile. Grande cura per gli arrangiamenti, quindi, veramente d’alta classe, e soprattutto un perfetto bilanciamento tra vecchio e nuovo, il primo fattore riscontrabile nell’approccio e nel riffing, il secondo in alcune aperture melodiche e nella registrazione, assolutamente al passo coi tempi. In definitiva, “My blood” non sarà certo un capolavoro, ma di sicuro è un disco sopra la media, ottimamente orchestrato, il cui unico piccolissimo difetto è forse l’eccessiva lunghezza. Un po’ di snellezza in più avrebbe giovato al risultato finale, ma stiamo parlando veramente del classico pelo nell’uovo. Ultima cosa da segnalare: nell’edizione digipack sono presenti due bonus track, e più precisamente “Show your hate” e “Eternal war”, originariamente contenute nell’album di esordio della band, “Fear of tomorrow” del 1985, e per l’occasione registrate di nuovo. Il risultato? Se da un lato hanno perso quel fascino antico che hanno le versioni originali, dall’altro sono diventate sicuramente più compatte e violente, e non sfigurano affatto affianco alle altre canzoni dell’album, anzi…
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