I
Fiaba rappresentano da sempre un’autentica
anomalia nella scena musicale internazionale.
La loro miscela di folk, retaggi celtico-medievali, hard rock e prog, concepita come potrebbe fare una congrega di sagaci menestrelli contemporanei, ha fin dagli esordi rinunciato al più o meno scoperto plagio nei confronti di qualsivoglia celebrità musicale, offrendosi al pubblico come un’entità fascinosa e assai personale.
L’alto valore evocativo delle ballate tradizionali, dei racconti in note, delle danze popolari, acquisisce nelle sapienti mai di questi menestrelli siciliani una particolare energia interpretativa e una prepotente vitalità espressiva capace di soggiogare chiunque non si fermi ad una valutazione superficiale della musica e che sia in grado di distinguere formule espositive solo estemporaneamente suggestionate dal vezzo delle sonorità folk-
eggianti da quelle che invece affondano le loro radici nelle profondità di una cultura specifica tangibile e variegata.
A completare il quadro generale arriva poi la laringe enfatica ed istrionica di Giuseppe Brancato, perfetta per interpretare al meglio queste mutevoli e arcane melodie, sebbene, come spesso accade alle voci in grado di fornire un proprio marchio esclusivo alle composizioni, si esponga inevitabilmente a giudizi piuttosto
perentori tanto negli elogi quanto nelle critiche.
La ristampa dei primi due lavori dei Fiaba (in origine pubblicati da Mellow e Lizard, glorie discografiche nazionali in ambito progressive, ma poi oggetto di riedizione singola nel 2004 ad opera della Pcfilm, la loro ultima etichetta … da rilevare che nella sua versione iniziale il secondo album s’intitolava “Il cappello a tre punte”, acquisendo “l’acca” solo in un secondo tempo) in un unico Cd, vista pure, a quanto sembra, una non agevolissima reperibilità dei prodotti, non può, dunque, che essere accolta con grande entusiasmo, e anche se probabilmente la sua vera maturità la band la raggiungerà solamente con i
full-length successivi (“Lo sgabello del rospo” e “I racconti del giullare cantore”), il fascino sprigionato dall’esordio del 1994 “XII – L’appiccato” (davvero speciale, per quanto mi riguarda … ma qui entrano in gioco anche le solite questioni affettive) e dal suo seguito del ’96 “Il cappello ha tre punte”, rimane imperturbabile di fronte al trascorrere del tempo e alla naturale evoluzione degli autori, compensando con la verve e con l’intensità quel pizzico di squilibrio armonico talvolta affiorante nell’emozionante programma.
“C’è un posto nel bosco”, “Il signore dei topi”, “Lo spaventapasseri”, la leggiadra filastrocca “Viene l’angelo”, le chitarre quasi Tsamis-
iane di “Il fauno bevve l’acqua della sorgente” e la favolosa suite “I sogni di Marzia” (enorme la prova
d’attore canoro di Brancato) sono i primi contrassegni indelebili di una capacità innata nel far convivere armonie auliche intrise di leggenda con la virile possanza dei suoni del rock, mentre tocca alle vibranti “L’omino di latta”, “Turpino il mostro”, “Il cappello ha tre punte”, “La rana affogata” (una sorta di SOAD dopo una
vacanza studio in Trinacria …), alla magica “Il segreto dei giganti” e alla drammatica e mordace
affabilità di “Hanno ammazzato il drago” reiterare con risolutezza a tali primari sigilli, confermando classe, imprevedibilità, attitudine e una perizia esecutiva irreprensibile, anche nella gestione della lingua italiana, così affascinante e altrettanto “pericolosa”.
Recuperare gli esordi di questa fatata creatura risulta una priorità per tutti i veri
musicofili ancora lacunosi in tal senso, nella speranza che i Fiaba decidano di porre fine all’attesa (la loro ultima testimonianza discografica, il mini “Il bambino coi sonagli”, è del 2007) e tornare al più presto a raccontare le loro storie “antiche” eppure sempre “moderne”, svelando ancora una volta i segreti di un universo fatto di creatività, allegorie e malie emotive, magari sfruttando nuovamente pure la loro congenita propensione per il cinema e il teatro (come già dimostrato nei suggestivi filmati de “I sogni di Marzia”, “Scerinnath il fiore delle bugie” e “Angelica e il folletto del salice”) se non addirittura approdando all’effettiva messa in scena di una
rock opera, un progetto assai congeniale alle caratteristiche dei nostri spettacolari giullari siracusani.