Pur apprezzando ampiamente la sua brillante laringe, capace di vibrare come se si trattasse di una fruttuosa e duttile
interpolazione Michael Bolton / Richard Page / Steve Perry, non mi considero esattamente un fan
irriducibile di
Steve Newman, autore di una carriera solista di livello, ma priva, almeno per quanto mi riguarda, di quell’imponderabile
quid decisivo in grado di fare emergere i suoi frutti dal cumulo di prodotti analoghi.
Ora, le possibilità sono fondamentalmente due: o con “l’età” mi sono ammorbidito, diventando più accomodante (e sarebbe un’anomalia, perché normalmente succede, semmai, l’esatto contrario!) oppure questo “Under southern skies” è
effettivamente una delle cose migliori (assieme al precedente “The art of balance”, probabilmente) prodotte dal valente singer britannico sotto la sua personale intestazione.
Allontanando
prepotentemente la prima ipotesi, non mi resta che propendere per la seconda, non rilevando, ancora una volta, nulla di veramente
speciale, e tuttavia dovendo pure rimarcare che il “ragazzo” (quasi coetaneo del sottoscritto, per la cronaca) di Bedford, con la maturità anagrafica deve aver anche acquisito una certa
saggezza compositiva, dacché il disco scorre assai piacevolmente, ostentando eleganza, spontaneità, energia e sentimento, riuscendo, ed ecco la cosa importante, a lasciare contemporaneamente parecchie tracce di sé, incoraggiando immediatamente il riascolto (almeno degli episodi salienti!), circostanza sempre più inconsueta in un mercato in cui le uscite degne di considerazione si susseguono a ritmo vertiginoso.
Cominciamo le dovute (e abbastanza numerose …) segnalazioni con “Killing me”, esempio piuttosto riuscito di AOR “classico” raffinato e dinamico, proseguiamo sulla medesima proficua falsariga con “If he loves you, caratterizzata da un andamento vocale dagli accenti vagamente Perry-
ani e concludiamo la prima sezione di citazioni con l’esuberante
title-track, davvero affascinante nel magnetico cantato e nelle suggestive stratificazioni armoniche del refrain.
“Strength to carry on” piace per l’intensità emotiva profusa e pone l’accento sulle eccellenti doti
empatico-interpretative di Mr. Newman, le stesse che alimentano l’avvolgente “Wish you were here” e la splendida “Montserrat” (la mia preferita in assoluto!), mentre per quanto riguarda il resto del programma mi limito ad evidenziare la contagiosa essenzialità di “Save no prisoners” e l’affabilità di “She’s gone”, maliosa nel suo tocco elegiaco.
E bravo Steve … dopo gli ottimi Big Life, un’altra bella prova da consegnare con
orgoglio e
determinazione ad una scena prospera e assai competitiva, nella quale
spiccare in maniera significativa sembra finalmente un’impresa alla tua portata …
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