Copertina 8

Info

Anno di uscita:2022
Durata:45 min.
Etichetta:Frontiers Music

Tracklist

  1. SURVIVE
  2. FAR FROM OVER (FEAT. VINCE DI COLA)
  3. SAIL AWAY
  4. BACK TO YOU
  5. DIANA
  6. DISTANT ECHOES
  7. REMEMBER (IT'S ME)
  8. YOU AND I
  9. UNDER A BAD SIGN
  10. GIVE MY HEART
  11. ON THE RUN

Line up

  • Robbie Lablanc: vocals
  • Daniel Flores: drums, bass, guitars, keyboards

Voto medio utenti

Quant'è difficile mantenere standard qualitativi elevati, anche per artisti dai curricula importanti e prestigiosi? Moltissimo, direi, con il rischio, altresì, che il subentrare della routine vada ad aggiungersi ai possibili effetti negativi della situazione.
Un pericolo nei confronti del quale i Find Me appaiono assolutamente impermeabili, dacché il nuovo “Lightning in a bottle” si rivela l’ennesima scintillante eccellenza sonora da affiancare ai tre altrettanto brillanti precedenti discografici.
Anzi, a ben sentire, mi verrebbe quasi da affermare che l’albo a tratti ostenta addirittura qualcosina in più di “Wings of love”, “Dark angel” e “Angels in blue” in fatto di tensione espressiva e forza immaginifica, all’interno di un’opera nell'insieme priva di momenti realmente interlocutori.
Ovviamente, per sostenere tale tesi è necessario essere seguaci dell’AOR “classico” di derivazione yankee, di quella tradizione musicale che ha visto i Survivor, un nome su tutti, autentici e insuperati protagonisti del settore.
Nulla di “innovativo”, dunque, ma è veramente arduo trovare qualcuno maggiormente attrezzato di Robbie Lablanc per interpretare in maniera così irreprensibile le atmosfere evocative, soffuse e vigorose, d’ispirazione ottantiana, che alimentano questi undici frammenti di puro godimento cardio-uditivo.
La sua voce sembra davvero stata creata ad hoc per sostenere con innata sicurezza, pathos e padronanza le canzoni scritte da un inesauribile Alessandro Del Vecchio, mentre tocca a Daniel Flores e agli altri collaboratori “esterni” della band (Jonny Trobro, Michael Palace e Rolf Staffan Pilotti) arricchire con spiccato buongusto questa intrigante celebrazione di suoni immarcescibili.
Eh già, perché in fondo chi ama gli inni “cinematografici” e radiofonici degli anni d’oro del genere, finirà per essere fatalmente catturato dalle note contenute nel disco, non potendo proprio opporre la benché minima resistenza in nome di un concetto giustamente perseguito e tuttavia forse anche un po’ troppo idealizzato come “l’originalità”.
Di fronte a un pezzo del calibro di “Survive”, che apre il programma con una struttura armonica e un ritornello di enorme presa emotiva, alle sinapsi degli chic-rocker non rimane che essere inondate dalle endorfine, dimenticando ogni altra eventuale valutazione razionale.
A far capitolare definitivamente costoro ci pensa poi lo smagliante adattamento di “Far from over” (remake di Frank Stallone tratto dalla colonna sonora di “Staying alive”), impreziosito dalla presenza del co-autore del brano e vero maestro del rock hollywoodiano Vince Di Cola (del quale, con l’occasione, vi suggerisco di recuperare i poco noti prog-AOR-sters Thread).
Dopo due folgori di questo valore, non è insolito riscontrare qualche piccola “flessione” e invece “Sail away”, con le sue tastiere suggestive e la “solita” prestazione impeccabile di Lablanc, non attenua il livello di partecipazione emozionale, e lo stesso si può affermare per l’avvincente slowBack to you” e per la pulsante carica melodica di “Diana”, galvanizzata da un altro refrain da applausi.
Appena meno efficace, nonostante una bella iniezione di testosterone, appare la comunque molto piacevole “Distant echoes”, seguita da una “Remember (It's me)” che riprende a catalizzare attenzione e sensi, al pari della raffinata balladYou and I”, non lontanissima dalla sensibilità di certi Toto.
La magniloquente e vivace “Under a bad sign” funge da preludio a una coppia d’assi di solare e passionale spensieratezza intitolati “Give my heart” e “On the run”, degna conclusione di un viaggio nella storia dell’Adult Oriented Rock, da raccomandare caldamente a chi crede che il mito del “sogno americano”, almeno nella musica, non abbia perso una stilla del suo immutabile fascino.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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