La bella copertina di Felipe Machado Franco ci dice tanto sul secondo, atteso album dei romagnoli
Ancient Bards. “
Soulless Child” infatti, è esattamente come la sua cover: drammatico, oscuro, epico e magniloquente.
Dopo il botto riuscito agli AB con il debut “
The Alliance of the Kings”, più di un occhio si è girato a guardare questa nuova creatura musicale, figlia dei Rhapsody ed incastonata come una spada in una roccia di symphonic power metal. La voce superba di
Sara Squadrani sembrava essere la ciliegina su una signora torta, fatta di musicisti giovani ma con le idee ben chiare, e con le mani benedette dagli dei. Ovvia quindi la fretta, da parte di
Daniele Mazza e soci, di sfornare al più presto un degno sequel di quella prima parte di una saga, che qui prosegue senza minimamente accennare al secondo capitolo: consideratelo (per bocca della stessa band) come l’atto II del capitolo I di un’epica avventura in puro stile fantasy.
Musicalmente, vale il discorso fatto all’inizio: i Bardi hanno affinato il sound rendendo le composizioni meno immediate, e di contro meno scontate, del funambolico debutto, e producendo quindi un secondo dischetto più intricato ma al contempo più maturo, in cui i riff chitarristici saranno il tramite ideale per viaggiare all’interno delle lunghe songs, incorniciate da una sezione ritmica mai così cattiva e chirurgica, merito (anche) del nuovo innesto
Federico Gatti alla batteria. Canzoni dunque più dilatate, in cui ogni musicista si prende lo spazio per apporre la sua firma al brano (ascoltate, come perfetto esempio di quanto affermato, l’opener “
To the Master of Darkness”), pur lasciando il giusto spazio a Sara per scorrazzare con la sua voce altissima e potente.
Non nascondo che la prima sensazione dopo aver ascoltato “Soulless Child” sia stata di leggero disappunto: dove sono finiti i ritornelli a pancia piena e quei bei giri in maggiore-maggiore-minore-maggiore che tanto piacciono a noi power-fans? Invece, riascoltando quest’album, mi sono accorto di una struttura, di un disegno, molto più elegante, ricercato, e paradossalmente più cattivo musicalmente. Giusto per fare un esempio, “
Through My Veins” presenta parti urlate dalla voce maschile, e molto spesso nella conclusiva (e lunga) “
Hope Dies Last” vi ritroverete immersi in momenti malinconici, sfuriate selvagge, stacchi power e un saliscendi di emozioni che la musica non fa che esaltare. Ma, cari lettori, se avete paura che “Soulless Child” sia troppo sperimentale o poco godibile, vi sbagliate di grosso: sparatevi a 200 dB il ritornello di “
Broken Illusion”, gustatevi con un sorriso di epica gioia l’intro di “
Valiant Ride”, volate con la voce di Sara sulla title-track... Insomma, tiriamo le somme: “Soulless Child” fa esattamente quanto gli era richiesto: conferma il valore assoluto degli Ancient Bards, ed allontana (seppur di poco) l’ombra lunga dei ‘padri’ Rhapsody, conferendo alla band una sua personalità ed uno stile distinguibile e personale, pur conservando abitudini di Turilliana memoria come la struttura a dieci brani o l’intermezzo cantato in italiano. Giusto mezzo punto meno del precedente, ma questo è uno di quei dischi in cui rimpiango di non aver più i capelli lunghi.