Gli
Andromeda sono uno di quei gruppi che nel corso della loro carriera non hanno ricevuto tutte quelle attenzioni che avrebbero decisamente meritato. Talento innegabilmente cristallino, album sempre di ottimo livello, buona capacità di prendere in prestito idee e allo stesso tempo innovare..ma mai il salto di qualità nel “mainstream”. Perché? Mistero.
Le origini del gruppo risalgono ormai a 12 anni fa, in Svezia, anche se la ristampa del primo album, con il bravissimo
David Fremberg alla voce, è datata 2001: “
Extension of the Wish”, grazie anche all’appoggio della Century Media, viene universalmente riconosciuto come un piccolo gioiello, il nome degli Andromeda è sulla bocca di tutti e i 5 svedesi vengono etichettati come la nuova sensazione del Prog mondiale.
Gli anni passano, seguono dischi di buonissimo livello quali “
II=I”, “
The Immunity Zone” e soprattutto “
Chimera”, ma l’ombra del disco d’esordio quasi perfetto diventa piano piano un peso eccessivo da sopportare, gli
Andromeda vengono quasi dimenticati, tranne dai fans più accaniti, e le loro uscite passano in sordina pur essendo di livello sopra la media.
Arriviamo così ad oggi e al nuovo “
Manifest Tyranny”, un disco che rappresenta l’ennesima evoluzione del suono degli Andromeda, che mai come in questo caso provano a mischiare una miriade di soluzioni differenti, cercando di farle coesistere nelle 10 canzoni che compongono il disco, risultando innovativi ma allo stesso tempo un po’ dispersivi, cadendo purtroppo spesso vittima delle loro stesse eclettiche idee. Il “problema” è che quando queste idee vengono sviluppate in maniera ragionata siamo di fronte a qualcosa di meraviglioso, letteralmente.
S’inizia in maniera rocciosa con “
Preemptive Strike” (il tema della guerra sarà il filo conduttore di tutto il disco), canzone atipica di soli 2 minuti e mezzo che mischia il prog al thrash, perfetta per iniziare col botto e adattissima ad accompagnare musicalmente i temi trattati nelle lyrics. Segue “
Lies ‘R’ Us”, che smorza decisamente i toni della traccia iniziale, assestandosi su un prog rock molto melodico, che mi ha ricordato a tratti i vicini di casa
Leverage. “
Stay Unaware” invece è una di quelle canzoni di cui parlavamo sopra, fin troppo intricata, si perde troppo spesso tra gli assoli di synth e 6 minuti sembrano davvero non finire mai.
Per fortuna arriva in soccorso la traccia migliore del disco, “
Survival of the Richest”, che inizia quasi fosse una canzone dei Maiden per poi trasformarsi in un fulgido esempio di prog moderno, roba che gli ultimi
Pain Of Salvation potrebbero quasi invidiare, grazie a un ritornello esageratamente catchy e a uno splendido passaggio in cui il pianoforte e la voce meravigliosa e angelica di Fremberg si intrecciano per formare una melodia unica e altamente emozionale.
Da qui in poi però le cose iniziano a farsi un po’ troppo confuse: ”
False Flag” è eccessivamente prolissa, includendo tra l’altro fastidiosissimi quanto musicalmente inutili voice-over di cospirazionisti e di Obama sull’utilità della guerra, funzionali al concept dell’album ma decisamente deleteri per il continuum della canzone. Stessa cosa che accade nella successiva “
Chosen by God”, particolarmente atmosferica e con un cantato quasi etereo, ma sempre puntellata di fastidiosi inserti presidenziali.
Le canzoni successive non riescono totalmente a riportare l’album sui livelli d'eccellenza offerti nella prima parte, fatta esclusione per l’ottima e complessa “
Asylum” e per “
Go Back to Sleep”, dove le eccelse qualità vocali di David Fremberg rubano la scena ai seppur talentuosissimi compagni, risultando a tratti simile al nostro Roberto Tiranti. Una citazione la merita anche “
Play Dead”, non tanto per la canzone in se quanto per i particolari inserti di mitragliatore nel ritornello e di elicottero nella strofa.
In conclusione abbiamo a che fare con l’ennesimo buon disco da parte degli
Andromeda, che non si stancano mai di sperimentare e di cercare quel “quid” che gli farebbe fare il salto di qualità. Condizionale appunto, perché l’obiettivo viene centrato a metà, con alcune canzoni veramente degne di lode e altre eccessivamente lunghe e negativamente intricate. Un disco da ascoltare più volte, senza dubbio, e che dividerà nettamente gli ascoltatori tra entusiasti e delusi.
“Controversy creates cash”.
Quoth the Raven, Nevermore..