Un mio collega americano ha definito quest’album “
ciò che Lulu sarebbe potuto essere, se fosse stato un bel disco”, e la descrizione sembra calzare a pennello all’ennesimo album di
Chris Connelly, ai più noto ‘solo’ per la sua presenza nei Ministry ormai vent’anni fa, ma ai pochi conosciuto per essere un prolifico musicista, che ha da tempo inaugurato una carriera solista che lo ha portato a svariate pubblicazioni, da solo o con varie formazioni. E la musica che Chris predilige è uno strano ibrido tra wave, post punk, gothic e dark music, che mi fa pensare ora ai Bauhaus, ora ad un David Bowie intristito, forse Nick Cave in alcune suggestioni particolari. Una via l’altra, le composizioni di “
Artificial Madness” ci raccontano di un mondo disumanizzato dalla troppa tecnologia presente, che ha snaturato l’uomo rendendolo inutile orpello attaccato ad una macchina. La voce quasi stanca e svogliata di Chris è il perfetto compagno di viaggio all’interno di composizioni sonnacchiose anche nelle tracce più tirate, in cui l’atmosfera nebbiosa ed uggiosa fa da perfetta atmosfera ad un inverno che si avvicina, silenzioso e grigio come una domenica mattina in Scozia. Un album come questo, inevitabilmente, necessita della giusta attitudine per essere fruito pienamente; di conseguenza, il minimo che possiamo fare è sconsigliare vivamente i metallari dall’ascolto del medesimo. Di sicuro sarebbe un buon regalo di natale per Mikael Åkerfeldt, vista la direzione intrapresa dai suoi Opeth ultimamente... Bando al facile sarcasmo, “Artificial Madness” è una piccola gemma di dark rock, che va ascoltata per volontà propria e non per caso; una volta caduti nel mood, vi assicuro che quest’album può risultare pericolosamente contagioso.
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