Questo Cd degli
Himora piacerà a tutti gli appassionati del
rock n’ roll puro e semplice, quello che recupera la tradizione della
roots music statunitense e, inserendola in un levigato contesto
hard, riesce ancora a sorprendere e farsi apprezzare, conservando nell’interpretazione un’enorme freschezza, indispensabile per sedurre sia i
vecchi frequentatori (anche solo) “virtuali” della polverosa
Highway 61 e sia chi la bellezza imperitura di certi suoni l’ha scoperta, magari esclusivamente per questioni anagrafiche, nei tempi recenti.
Apprendere che il gruppo è norvegese dimostra solamente, ancora una volta, che lo “studio” e la passione possono superare anche i confini geografici e le loro “naturali” prerogative, almeno se si dimostra di possedere la chiave dello scrigno dell’ispirazione.
In un
songwriting disinvolto e di gran livello risiede il segreto artistico di “Argue all your want”, la sua spigliatezza e genuinità vi ricorderanno Bad Company, Drivin’ N’ Crying, Foreigner, Aerosmith, CSN & Y, The Black Crowes, Rolling Stones, Creedence Clearwater Revival, Thunder, Little Feat, Humble Pie e James Gang, manipolati con tocco felice, sentimento e notevole classe, tutta “roba” che rende praticamente
ininfluente, seppure
ragionevole, la consueta obiezione di scarsa originalità.
E’ quasi
insolente raccomandare una canzone in luogo di un’altra, tanta è la confortevole qualità del programma, magari privo di particolari picchi (“When the boys are back”, la Doobie Brothers-
iana “Summer dress” e la canicolare “Fisherman's blues” si avvicinano “pericolosamente” ad incarnare tale impegnativo ruolo, però, …), eppure anche sprovvisto di momenti di flessione davvero significativi e finirò, dunque, per consigliare l’ascolto del Cd anche a chi conosce solo gli aspetti più “trendisti” e superficiali della questione (“Birmingham” e “Legend in your lunchbox” potrebbero finire per piacere anche agli estimatori degli ultimi RHCP, così come l’ammiccante
shuffle di “Too long at the fair” rischia di conquistare i fans di Lenny Kravitz, mentre “Wings” sarebbe in grado di attrarre i sostenitori dei Maroon 5 con nozioni di
AOR …), nella speranza che si aggiungano agli estimatori più
smaliziati del settore, sicuramente colpiti dalla voce vellutata e pastosa di Morten Fredheim, autentica protagonista dell’opera, e dall’abilità collettiva di una band veramente dotata nella rivitalizzazione di una formula espressiva così consolidata.
Un altro
disco revival (toh, accidentalmente è anche la denominazione di uno dei miei “spacciatori” musicali di fiducia … vabbè, Marco, poi passo a riscuotere …)? Sissignori, ma prima di tutto un bel disco, nonché l’ulteriore segno tangibile che un’eredità, quando è così importante e sentita, non va mai sprecata … almeno nel
rock!
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