Potrei tranquillamente ridurre la recensione a questa frase qui: “Krush the enemy” è diretto solo ed esclusivamente ai giovinastri che amano più i gruppi di questa nuova ondata thrash metal che i lavori delle vecchie glorie, quei giovani, insomma, che comprano (anzi, scaricano) qualsiasi CD thrash purché la band in questione sia piena di toppe e borchie nelle foto promozionali, perché, nella loro testa bacata, è automaticamente sintomo di old school e, quindi, di qualità. Beh, l’assioma non funziona proprio così, perlomeno, non sempre… Ne sono un esempio questi
Warbeast, direttamente da Arlington, Texas, e nel loro caso non è bastata neanche la collaborazione del conterraneo Phil Anselmo (sì, proprio QUEL Phil Anselmo) in qualità di produttore e guest vocalist, ad alzare il valore di “Krush the enemy”. Il debut album della band, infatti, per quanto ben prodotto e ben suonato, non convince più di tanto. Se da un lato non presenta le inevitabili banalità e gli inevitabili errori tipici di un esordio, dall’altro lato comunque risulta privo di reale mordente. Non ci sono brani killer che colpiscono dal primo ascolto, non è avvincente, soprattutto nella sua seconda metà, dove, più che all’inizio, sopraggiunge una pericolosa ripetitività, che inevitabilmente finisce col far abbassare la qualità del platter. Certo, qua e là ci sono ottimi riff di chitarra e ancor più interessanti assoli, la batteria pesta duro come un ossesso, e le song si sviluppano attraverso la classica alternanza sfuriate/stop & go, ma tutto questo non basta a far scattare la molla e far salire l’adrenalina. Soprattutto quando poi si ha in organico un singer come Bruce Corbitt, che non solo non convince, ma deturpa proprio quanto di buono messo su dai propri compagni, con una prestazione sgradevole, poco incisiva, decisamente piatta e sguaiata. Buoni brani ce ne sono, basti pensare ala violenta “The plague at hand”, alla title track o a “Self will run riot”, ma troppo pochi rispetto ai filler presenti in track list. Fortunatamente il disco non dura assai e i brani non sono molti, quindi tutto sommato l’ascolto riesce abbastanza agilmente, però resta quel senso di incompiuto perenne che alla lunga infastidisce un po’. Se devo basare il mio giudizio esclusivamente su “Krush the enemy” direi che non posso andare di molto oltre la sufficienza. La speranza è che la band prenda questo esordio come punto di partenza per smussare le incertezze e le banalità in cui è incorsa e sistemare il tutto per il secondo lavoro in studio. Poi però ci penso e dico: ma è davvero una speranza? In fondo, chi è che non può davvero fare a meno dell’ennesima thrash band che scimmiotta le grandi, e di ben altro spessore, band del passato?
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