E fu così che anche l’Italia, finalmente, ebbe i suoi Rage Against The Machine… Scherzi a parte, è però innegabile l’influenza che la band di Zakk De La Rocha ha avuto sui
Playground Trauma, non tanto musicalmente parlando, quanto dal punto di vista attitudinale. Sono incazzati i PT, molto incazzati, però per dare voce alla propria rabbia hanno scelto la via del crossover. Crossover, sì, di quello particolarmente moderno, quindi pieno zeppo di chitarroni quasi metal, ma soprattutto ricco di brackdown (forse anche un po’ troppo) e linee vocali ai limiti dell’hip-hop, se non proprio tali, in alcuni brani. Al di là dei miei gusti personali (non amo particolarmente queste sonorità moderne), devo ammettere che i pistoiesi ci sanno fare, e la loro miscela di RATM, Bio-Hazard e qualcosa di più pesante tipo Coal Chamber, in alcuni momenti, e di hardcore più classico, in altri, funziona bene. I brani sono incisivi, colpiscono duro quando c’è da picchiare e si ammorbidiscono quando le liriche richiedono riflessione. Il tutto accompagnato da una produzione degna di nota, capace di dare ai pezzi il giusto piglio, rendendoli potenti e pompati al massimo. Peraltro, tornando alle liriche, per una volta non mi dispiace che siano cantate in italiano, anzi, il nostro idioma viene usato perfettamente e in maniera affatto banale, e, cosa troppo spesso rara, risulta vincente anche melodicamente, grazie anche a metriche non troppo forzate. Scendendo più a fondo, i testi trattano temi sociali, e non poteva che essere così viste le premesse, e lo fanno senza tanti peli sulla lingua, sono diretti e colpiscono nel segno. Tra i brani che ho apprezzato di più ci sono senza dubbio l’iniziale “Nel nome del progresso”, bella granitica, l’incisiva “Morte ai padroni”, con tanto di spezzone del nostro caro ex presidente del consiglio, e la politicissima “Stato di fermo”. Insomma, in definitiva niente di assolutamente innovativo o rivoluzionario… resta il fatto, però, che “Playground trauma” si lascia ascoltare e in più di un’occasione colpisce nel segno, e questo per un debut album mi sembra già parecchio. Inevitabilmente c’è qualche ingenuità qua e là, ma niente che non possa essere colmato con un po’ di esperienza e con la crescita artistica che, ne sono sicuro, ci sarà con il secondo disco.
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