E' sempre difficile affrontare la recensione di un album del genere, quando chi lo realizza si chiama
Nightwish,
Within Temptation o in questo caso,
Epica. Sono infatti questi 3 i nomi che a livello di critica mondiale hanno definito e ridefinito col tempo il genere impropriamente chiamato "female-fronted metal", quasi a screditare il lavoro di una band in favore della presenza scenica di una bella (ma non solo) signorina, che il suo nome sia Tarja Turunen, Sharon den Adel o Simone Simons. Personalmente ritengo d'obbligo citare anche
After Forever (non a caso ex band di Mark Jansen) e soprattutto
The Gathering in questo processo evolutivo, ma è solo questione di gusti personali.
La creatura di
Mark Jansen comunque, rispetto alle altre due citate, è sempre riuscita in qualche modo a distinguersi dalla massa grazie a sperimentazioni più o meno riuscite e alla presenza proprio di Mark in appoggio a Simone, con il suo growl e le sue sfuriate al limite del melodic death, che fanno da contraltare al lavoro più operistico e sinfonico della Simons e del suo omonimo Coen alle tastiere (*SPOILER ALERT* su "Requiem for the Indifferent" fa un lavoro grandioso *SPOILER ALERT*).
"
Requiem for the Indifferent" è il quinto passo di questo cammino che dura ormai da 10 anni, fatto di innovazioni e allo stesso tempo di ritorni al passato. E' questo infatti il vero lato progressive degli Epica, non quello musicale come tanti affermano, quanto quello storico: agli olandesi piace cambiare, piace misurarsi con nuove sonorità, ma raramente lo fanno all'interno della stessa canzone o dello stesso disco.
Ma cos'è cambiato quindi dal tanto acclamato "
Design your Universe"? Prima di tutto è cambiato l'approcio vocale.
Simone Simons sfodera senza dubbio la miglior prestazione della sua carriera, allargando se possibile un range già notevole, non tanto verso l'alto quanto nel mezzo, offrendo uno spettro vocale ampio e variegato, che non fa risaltare troppo lo stacco tra la voce più dolce e quella operistica, che in passato poteva a volte infastidire. E' sufficiente dare un ascolto alla title track per rendersi conto di quello che voglio dire, title track che per inciso risulta essere la miglior canzone del disco, presentando tutti i migliori aspetti di questi Epica, dalle prestazioni vocali da urlo agli splendidi cori, dal grandissimo lavoro di Jansen alle tastiere alla puntuale sezione ritmica di
Huts e
van Weesenbeek.
Ecco, siccome finora abbiamo elencato solo aspetti positivi, iniziamo con quello che non va: van Weesenbeek, esaurito il fattore novità mostrato su "The Divine Conspiracy" e "Design your Universe", offre una prestazione senza mordente, con soluzioni già sentite, svolgendo il suo compitino senza strafare ma senza nemmeno stupire o meravigliare, penalizzato per onor di cronaca anche da suoni che spesso non risultano proprio all'altezza.
Altro aspetto negativo è senza dubbio la lunghezza: gli album degli
Epica sono troppo, troppo lunghi. Si supera praticamente sempre l'ora (un'ora e 13 minuti in questo caso) offrendo il fianco a logici difetti quali la presenza di filler e l'eccessiva monotonia, fattore che risalta soprattutto dopo 3 o 4 ascolti dell'album. In particolare l'ultima parte del disco (da "
Stay the Course" in avanti) fatica ad emergere, fatta eccezione per l'ottima "
Serenade of Self-Destruction". Sarà che la canzone che la precede, "
Deep Water Horizon", è un vero gioiellino (qui si che possiamo parlare di approcio prog, con diversi cambi di ritmo e di genere che variegano in maniera decisa la canzone), ma il trittico successivo è davvero povero di idee.
Esauriti gli aspetti negativi, tra gli episodi migliori che possiamo trovare sul disco spicca senza dubbio "
Delirium", a mio parere la miglior ballad che gli Epica abbiano mai scritto, aiutata da una prestazione sopraffina di Simone, che spoglia la sua voce da quasi tutti gli orpelli operistici che la caratterizzano per lanciarsi in un cantato altamente emozionale, quasi "erotico". In tutto questo, la base di piano di Jansen è la summa dello spoiler di prima, semplicemente perfetta.
In conclusione che dire, anche la mia valutazione del disco ha avuto un cammino prog: sono partito con "Capolavoro!" al primo ascolto, sono passato a "E' proprio bello! Ma.." e ora sono a livello "Sarebbe stato ottimo con 20 minuti in meno". Direi che posso fermarmi qui, no? Un disco ottimo, forse il migliore della discografia degli Epica assieme a "
Consign your Oblivion" a mio parere, che con 3 o 4 canzoni in meno sarebbe stato da Top. Per l'eccellenza artistica però bisogna guardare altrove.
Quoth the Raven, Nevermore..