Con i
Furyon la Frontiers, regina incontrastata dell’
hard melodico internazionale, tenta un risoluto ampliamento in senso più “moderno” del proprio invidiabile
roster, sfidando sul loro terreno tutte quelle formazioni di derivazione
post-grunge così premiate dalle classifiche di tutto il mondo.
L’ambiziosa impresa prende avvio da solidi presupposti, poiché “Gravitas”, in realtà, era già stato pubblicato nel 2010 in forma indipendente dalla band britannica, artefice di altri due Ep (“32 Hours” e “Underdog”) e in grado di attirare su di sé l’attenzione dei media che non hanno mai lesinato entusiastici apprezzamenti sul suo operato.
A questo punto, non rimane che costatare di “persona” se Alter Bridge, Nickleback, Black Stone Cherry e Shinedown (la produzione, è altresì affidata a Rick Beato, collaboratore, tra gli altri, proprio degli americani) devono cominciare a “fare i bagagli” per lasciare il posto ad un nuovo “inquilino” pronto a sostituirli nelle zone alte delle
playlist di vendita e di apprezzamento musicale, e dopo un ascolto attento e ponderato mi sento di avvisarli di predisporsi,
quantomeno, ad una convivenza, dacché i Furyon hanno davvero tutte le carte in regola per affermarsi su vasta scala.
Ovviamente le “leggi” che regolano le discipline commerciali del business discografico sono “leggermente” più complesse e appartengono spesso alla sfera dell’
imponderabile, ma almeno dal punto di vista artistico “Gravitas” si rivela davvero un “signor” disco, suonato in maniera impeccabile, pieno di
groove e di pezzi in pratica tutti belli ed ispirati, in cui le strutture armoniche appaiono incisive e levigate, pronte per soggiogare le sinapsi neurali dei tanti appassionati del settore.
Certo, i riferimenti ai pionieri e ai migliori seguaci del cosiddetto
Seattle sound non mancano e sono anche piuttosto evidenti (Alice In Chains, Soundgarden, Creed, Foo Fighters, gli stessi Mayfield Four di un non ancora celebre Myles Kennedy …) e tuttavia i nostri si affrancano con decisione da uno sterile
calligrafismo di genere iniettando nella miscela bagliori sonori eterogenei (dai Metallica ai Dream Theater, passando per l’Ozzy Wylde-
supported) e ammantando il tutto con adeguate dosi di temperamento e con una capacità innata nel comporre vere “canzoni”, potenti, contagiose e intense.
Matt Mitchell, così, ottimo emulo di Cornell e Kennedy, pilota con convinzione i suoi impeccabili partners (veramente superbo il lavoro delle chitarre) in un programma privo di reali flessioni, capace di offrire la strisciante blandizia di “Disappear again” (dagli accenti vagamente Nirvan
iani) accanto alla trascinante e fosca irruenza di “Stand like stone”, di conquistare i sensi sia tramite le melodie
eigthties meets nineties (qualcosa tra Skid Row, Soundgarden e BLS) di “Don't follow” e "Voodoo me”, e sia attraverso la spigliatezza flessuosa di “Wasted on you” (un singolare consorzio di
hard-rock,
grunge e aliti di osservanza
NWOBHM …), mentre è ancora più facile prospettare ampi consensi (se sostenuta da adeguata “visibilità) per “Our peace someday”, una vigorosa ballata che appagherà gli ammiratori di Alter Bridge e Shinedown.
Tra le migliori caratteristiche del gruppo c’è sicuramente una grande abilità nel conferire enfasi e carica “drammatica” alle proprie composizioni ed ecco che proprio grazie a questa coinvolgente prerogativa, tra le tante gradevolezze
cardio-uditive disponibili, sono la volubile “Souvenirs” (una sorta di
grunge-prog che potrebbe piacere ai DT, in particolare a quelli di “Train of thought”, che probabilmente ne invidierebbero l’efficacia), “New way of living”, la favolosa “Fear alone” (gli AIC, i Deep Purple di “Perfect strangers” e i Disturbed riuniti per un’
improbabile ed eccitante
jam session!) e “Desert suicide”, a rappresentare complessivamente i momenti più felici di un albo, lo ripeto, piuttosto appassionante nella sua totalità.
Un’altra eccellente iniziativa per la nostrana Frontiers (che dovrà presumibilmente prepararsi a qualche critica per una scelta di “campo” leggermente inconsueta rispetto alle sue abitudini di sponsorizzazione, magari ritenuta opportunista e “infedele” da taluni
miopi estimatori melodici …), e nell’attesa di vedere i Furyon frequentare assiduamente le
heavy-rotation più prestigiose, affidatevi con sicurezza a “Gravitas” … una salutare boccata d’ossigeno nell’effimero panorama
radio-rock contemporaneo.