Sensazioni tristi, riflessive, grigie e cupe si rincorrono trovando sfogo in momenti di lucidità, sentimenti così contrastanti eppure spesso molto simili si alternano in un turbine mentale, pieno di domande a cui mai potremo trovare una risposta: perchè viviamo? Perchè accadono certe cose? Abbiamo forse una missione? La psiche umana è così complessa che spesso l'addentrarsi in certi meandri dell'inconscio fa paura, si rischia di perdersi e di non trovare più la forza per andare avanti; tutta questa premessa, permettetemela, può essere utile introdurre il nuovo lavoro dei Vision Divine, una costellazione punteggiata da mille stelle lucenti, brillanti e intriganti, sensuali e coinvolgenti. La creatura di Olaf Thorsen (che dopo l'uscita dai Labyrinth si dedica a tempo pieno ai suoi V.D.) è davvero sorprendente, avendo comunque il pregio di non lasciare spiazzati; già perchè tante volte capita di ascoltare dischi magnifici che però hanno sempre qualcosa di ostico, qualcosa che non va giù; questo album fluisce come un vero e proprio Stream of Consciousness, per dirla alla Joyce. Avevamo lasciato la band con "Send me an Angel", un buon lavoro che però, almeno secondo il parere del sottoscritto, pur avendo buoni pezzi non riusciva a decollare completamente; li ritroviamo con questo scintillante S.o.C. che lascia a bocca aperta. Lo stile si è evoluto in un raffinato power-prog metal che però non può essere rinchiuso in certe nicchie, si farebbe un torto ad una band che davvero ha messo l'anima in un disco che spazia tra mille influenze, ma che suona così personale; l'ottimo stato di forma dei componenti è lampante a partire da una sezione ritmica Torricini-Amoroso in stato di grazia per fantasia e precisione, ma ciò che fa davvero la differenza è la qualità delle composizione da una parte e la prova passionale dei musicisti che rende ogni nota così carica di emozioni da far venire i brividi. Non spendo parole di elogio per il grandissimo Olaf, autore nel disco di assoli e passaggi davvero unici, poichè tutti ne conoscete lo stile, ma due parole su Smirnoff e Luppi non mi sento di ometterle: il primo è un virtuoso tastierista che ha svolto un lavoro eccellete arricchendo le canzoni con un tappeto di note affascinante e caldo, mai invadente e protagonista quanto basta, il secondo sfodera una prestazione vocale impressionante; le sue splendide tonalità si sposano a meraviglia con le atmosfere del disco e il confronto con Lione, perdonatemi la schiettezza, è stravinto grazie ad acuti e fraseggi da fuoriclasse. Le tematiche, come accennato in precedenza, sono molto intimiste, sono le domande esistenziali che un uomo, giunto "nel mezzo del cammin di nostra vita", si pone e che lo rendono inquieto, travolto dal flusso emozionale di cui viene colta davvero l'essenza. Non vorrei soffermarmi sui vari capitoli che compongono l'album, ma di certo una menzione alle due canzoni poste in apertura bisogna farla: "The secret of life" e "Colours of my world" sono delle vere e proprie perle, due canzoni incredibilmente coinvolgenti, coadiuvate da due testi favolosi e da cori che rimarranno a lungo nel vostra mente, pur non essendo banali o ripetitive.Unica nota dolente, ma non mi sento di farla pesare minimamente, può essere rinvenuta nella produzione, non proprio al passo con i tempi che non pecca certo per scarsa qualità, quanto per un gusto un pò troppo retrò; il materiale proposto avrebbe forse guadagnato maggiormente con un mixaggio più pulito e limpido, ma certo non è il caso di criticare questa velleità.
Quello che rimane alla fine del disco è un senso di deja vù, come se ciò si fosse sentito abbia in qualche modo toccato la nostra anima, come per magia...
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