L’Italia si è sempre distinta per avere una scena death metal modesta ma fervente, non ricca numericamente, ma sicuramente qualitativamente, con band che non hanno nulla da invidiare a quelle delle ben più floride e blasonate scene svedesi e americane. E da oggi la nostra piccola ma cazzuta scena si arricchisce di un nuovo nome, quello dei
Kaptivity, che va ad aggiungersi ai vari Murder Therapy, Zora, Carnality etc, giusto per citarne qualcuno… Mi sembra superfluo sottolineare che sto parlando di death metal old style, quello vero, non le boiate moderne che purtroppo tartassano le nostre orecchie negli ultimi anni. Anche se, devo ammetterlo, l’intro del CD mi aveva portato fuori strada, facendomi bestemmiare non poco, temendo di avere a che fare, ancora una volta, con l’ennesima band clone di Dark Tranquillity et smilia. Fortunatamente “Karnality”, la seconda traccia, ha fugato ogni mio dubbio, sputandomi in faccia tutta la violenza sonora di cui i parmigiani sono capaci. Dopo una gavetta di qualche anno sotto il nome Candlelight, i nostri cambiano moniker ed approdano alla Lo-Fi Creatures, che produce così il loro debut album. Un coacervo di putridume e brutalità che poco o niente lascia all’immaginazione. I riff sono serrati ed articolati, le ritmiche semplici ma efficaci, e su tutto si impone il growl cupo e profondo di Franz, che vomita su noi poveri malcapitati i suoi testi incentrati su occultismo ed esoterismo (date un’occhiata alla copertina, perfettamente in tema con ciò che ho appena descritto), con un occhio di riguardo per quanto professato dal mai troppo citato Aleister Crowley. Dal punto di vista stilistico ci troviamo dinanzi ad un buon mix tra le sonorità più prettamente swedish di Entombed e Grave, e quelle più americane di Morbid Angel e compagnia grugnante, il tutto valorizzato da una produzione volutamente scarna e claustrofobica ad opera dei Moonlight Studios, che ha donato ai pezzi dell’album quel sapore primitivo ed integralista che ben si adatta a quanto proposto dai nostri. Dieci brani che non lasciano il tempo di respirare, salvo nei frequenti rallentamenti ai limiti del doom che di tanto in tanto fanno capolino, con i cinque componenti che svolgono alla perfezione il proprio ruolo, puntando più al risultato e all’amalgama finale che ai tecnicismi personali. “Infected”, la già citata “Kaptivity”, “The city of pain”, ben fotografano la proposta musicale del quintetto emiliano, che va avanti per la propria strada incurante delle mode e delle immancabili critiche che lo taccerà di immobilismo musicale. Questo è un disco per amanti del death metal, non per fighetti che cercano innovazioni e influenze extra metal. La scena estrema italiana cesella un nuovo tassello al suo interno. Benvenuti Kaptivity…
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