Gli
Ancestors, psych-prog band di Los Angeles, per sviluppare il loro credo musicale hanno bisogno di tempo. Amano le composizioni lunghe, estese, ed i loro lavori sono sempre corposi nelle trame ma anche nel minutaggio. In questo ultimo album, non si sono smentiti. I brani durano in media nove minuti, ma si spingono fino alla monumentale suite conclusiva, che arriva da sola a sfiorare i venti.
Occorre essere bravi e creativi per sostenere tale scelta senza risultare noiosi, ripetitivi o dispersivi. E loro lo sono.
Ancora una volta Justin Maranga e compagnia ci propinano dosi massicce di rock fantasioso, mutevole, caleidoscopico, basato su una psichedelia raffinata e superbamente vintage ma strutturato esteticamente con la maestosità di un “progressive” molto british. In sostanza, anziché le solite jam-songs vorticose e magmatiche, gli Ancestors scelgono colorazioni meno chiassose e sfoggiano una grande capacità melodica, a tratti perfino romantica, con ampi spazi dedicati ad atmosfere più sobrie e riflessive. Certo i momenti hard e trascinanti non mancano di sicuro, valga per esempio il brillante solismo di “On the wind”, il poderoso crescendo di “Whispers” che pare coniugare il retaggio seventies con l’ostilità di certo metal moderno, ed ovviamente le lunghe sezioni racchiuse nella ambiziosa “First light”. Però sono altrettanto evidenti il tono sofisticato del pianoforte e delle voci Crimsoniane in “The last return”, brano dall’atmosfera commovente, così come molte altre soluzioni eleganti ed adulte inserite nei lunghi capitoli del disco.
Gli Ancestors sono un gruppo che richiede immersione profonda, se si vogliono afferrare tutti i dettagli della loro musica. Oltre all’influenza dei King Crimson, dichiarata dai musicisti stessi, ricordano per la complessità dei brani gruppi come i chilometrici Colour Haze, i Los Natas e perfino, in qualche tratto, Isis e Neurosis. Ascolto indispensabile per amanti del prog-rock, dello psycho-sound e dello stoner più evoluto.
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