Trattare il ritorno dei
Fiaba, a distanza di cinque anni dalla precedente testimonianza discografica (il mini “Il bambino coi sonagli” è del 2007, mentre l’ultimo
full-length “I racconti del giullare cantore“ risale a due anni prima), non è una faccenda da affrontare con “leggerezza”.
Per una volta, il “ritardo” (rispetto alla pubblicazione ufficiale del disco) con cui verosimilmente leggerete questa disamina di “La pelle nella luna” non è (solo) dovuto al solito accumularsi di uscite e d’impegni “extra-giornalistici” (quelli che mi danno da
mangiare, per la cronaca …), ma alla difficoltà “oggettiva” di recuperare le frasi “giuste” per persuadere il lettore dell’eccezionale statura artistica di questa band, un’entità straordinariamente fascinosa e originale che meriterebbe tutta l’attenzione possibile, anche se non è
trendy, non tratta di questioni politico-sociali (non in maniera “tradizionale” o
tronfia, almeno, utilizzando semmai l’arma dell’ironia e dell’allegoria, proprio come facevano quei sagaci menestrelli a cui i nostri sono spesso legittimamente accomunati) e propone una musica avversa alle frenesie contemporanee.
Poi ho pensato che, in fondo, non era assolutamente indispensabile tentare di “convincere” l’eventuale
agnostico, adottando un comportamento analogo a quello che, del resto, ha sempre assunto la strepitosa band siracusana, imperturbabile nel suo coerente percorso artistico, estraneo alle mode e alle facili concessioni ad un mercato sempre più superficiale e disattento.
Se quest’ennesima meraviglia rimarrà ancora una volta “merce per pochi”, me ne farò una “ragione”, complimentandomi in maniera ampia ed entusiasta con chi saprà cogliere l’ennesima magia evocata dai Fiaba e rammaricandomi, ma senza la consueta
stizza, per l’incomprensibile trascuratezza dei
rockofili (quelli insofferenti al “consueto”, in particolare) impassibili o impreparati di fronte alla brillante miscela di
folk,
metal, retaggi celtico-medievali,
hard rock e
prog concepita dai siciliani.
A questo punto,
esclusivamente a beneficio di chi saprà farne “buon uso”, posso tranquillamente affermare che “La pelle nella luna” è un albo tremendamente attraente, mediamente più caliginoso e “metallico” (in senso raffinato ed
aristocratico, tanto da rammentare in qualche situazione Warlord e Fates Warning) dei lavori precedenti, costantemente capace di evocare vibranti emozioni, edificate sulla tensione, sulla distinzione e sulla poesia di una storia in cui il pretesto narrativo è stavolta rappresentato da lupi e da licantropi, le misteriose e leggendarie creature qui raffigurate in una maniera piuttosto lontana dalle leziosità dell'immaginario collettivo moderno.
I dieci racconti del disco, vi avvinceranno come fossero i capitoli di un antico
manoscritto, con la voce istrionica e teatrale di Giuseppe Brancato che vi condurrà per “mano” in quest’universo di oscura attrattiva, in una trama gorgogliante di aggressività, slancio, forza, tenerezza, inquietudine e malinconia, davvero difficile da “spiegare”. Inutile dire che ci proverò
comunque …
“L'inquisito” è un’autentica folgore emotiva:
drumming Zonder-
iano, basso pulsante e chitarre corrusche e brumose fanno da introduzione e da sostegno al cantato evocativo e drammatico del grande cerimoniere Brancato, davvero impressionante per egemonia espressiva.
“Le due nature” è nuovamente impostata sulle velleità interpretative del
singer, ancora più libere di conquistare un proscenio integrato da un’arcana e angosciata melodia elettro-acustica, “Il povero Giacobbe” è una filastrocca
cromata di grande suggestione, “L'uomo è la preda” riprende le atmosfere e le strutture armoniche dell’
opener, mentre in “Le bestie del villaggio di Ogre” l’assalto sensoriale raggiunge la sua acme, materializzando il senso d’inquietudine e di sgomento tipico di una minaccia incombente e il relativo sollievo frutto dello scampato pericolo.
“La piccola Greta” è un’altra ballata elegiaca, edificata sull’innocenza di una bimba che non vede la supposta efferatezza (che esplode, in realtà, solo per vendetta) dello splendido predatore protagonista dell’opera, “Il patto coi lupi” squarcia con lame di metallo e di enfasi il clima in sospensione, un attimo prima che “Il cerchio della morte” rievochi le esorcistiche e
allusive danze medioevali tra sacro e pagano.
Un contesto conviviale che si trasforma ben presto in una
deliberata ricerca del “mostro” fornisce lo sfondo a “Morte di un presunto lupo mannaro”, laddove “All'ombra della giustizia” arricchisce di sfumature la possibile esegesi del tema fondamentale del disco, che così diventa metafora della discriminazione e in qualche modo, forse, anche della caotica e controversa evoluzione del mondo, in cui la
bestia confinata nel buio dell’animo umano, nell’atavica lotta fra bene e male, emerge sempre più spesso nei
dogmatismi del vivere quotidiano.
“La pelle nella luna” è un altro capolavoro da aggiungere alla straordinaria produzione dei Fiaba, depositari di un “segreto” che è bello
custodire e che tuttavia, nonostante il mio maldestro tentativo di “distacco”, è ancora più gratificante
condividere … ecco perché, in definitiva, spero ancora una volta che l’
intelligenza prevalga sull’imperante
mediocrità, riconoscendo, finalmente, in maniera incondizionata l’enorme significato artistico di un gruppo unico.