Come ebbi già modo di dire recensendo l’ultimo lavoro dei The Grotesquery, il buon Howard Phillips Lovecraft al giorno d’oggi sarebbe miliardario grazie allo sfruttamento dei diritti d’autore legati all’immaginario di Chtulhu & Co.
Non paghi di aver già trattato le tematiche lovecraftiane nell’EP pubblicato nel 2009 dedicato al “The Extraordinary Work of Herbert West” - famigerato rianimatore dell’omonimo racconto - la band svedese ha pensato bene di intitolare la loro seconda fatica niente meno che “Cult Chtulhu”.
La proposta contenuta nelle undici tracce che compongono il cd non si discosta da quella sentita nel debutto dello scorso anno “The esoteric order”, lavoro questo uscito sempre per la Cyclone of Empire, etichetta che, negli ultimi anni, si è specializzata nel rilanciare/cavalcare lo swedish death metal old style.
La prima sensazione che si prova durante l’ascolto è la scelta del quartetto di puntare in apertura su brani costruiti su riff pastosi e avvolgenti (v. “Children of Dagon” e “The Azathoth cycle”), in una certa misura orrorifici, piuttosto che sulla velocità, tanto che solo con le successive “Shoggoth” – brano in pieno entombed tribute periodo di “Clandestine” – e “Flesh architect” i ritmi cominciano ad alzarsi con continuità.
L’ascolto è piacevole, i Nostri utilizzano tutti i “trucchi” del mestiere (D-beat compresi ovviamente) come ci si aspetta da una band ispirata tutto e per tutto dai primi anni 90 del secolo scorso, in maniera allo stesso tempo convincente e ruffiana strappando al sottoscritto più di un ghigno di compiacimento mentre i brani si susseguono l’un con l’altro.
Se in “The esoteric order” ci trovammo a recensire la collazione delle migliori composizioni del periodo pre-debut dei
Putraeon, brani in cui a mio avviso la band indulgeva troppo nell’auto-citazione, con “Cult Chtulhu” notiamo l’acquisizione di una maggiore sicurezza nei propri mezzi e, soprattutto, la presenza di un filo conduttore che lega i singoli pezzi in un album.
Da apprezzare infine il rallentamento quasi doom della conclusiva “Liberation”, i cui miasmi sulfurei sembrano voler uscire a forza dagli altoparlanti dello stereo, per avvolgere il malcapitato ascoltatore.
Se l’anno scorso i più attenti di voi hanno intuito le potenzialità inerenti i Putraeon, con“Cult of Chtulhu” queste oggi si sono manifestate nella loro totalità in maniera così evidente che anche i più scettici oppositori del revival old school non potranno non goderne sinceramente dell’ascolto.
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