Damaste: Thànatos, Phòbos, Nibùru, Hypnos e Panòptes… Con un nome così e dei nick name del genere, è facile intuire che la band nutra ben più che una passione per la mitologia greca… Ma, a scanso di equivoci, qui non ci troviamo al cospetto di un gruppo proveniente dalla terra degli dei olimpici, bensì di una band tutta italiana, lombarda, per la precisione… Inizierei col dire che ci ritroviamo tra le mani un prodotto altamente professionale, sia per quanto riguarda la produzione (registrazione effettuata ai Dissonant Studios di Luca Minieri degli Illogicist, e masterizzazione ai Finnvox Studios di Helsinki ad opera di Mika Jussila), sia per quanto riguarda art work e presentazione, molto curati anch’essi… Venendo all’argomento principale, e cioè la musica, cosa ci propongono i Damaste? Del classicissimo (ormai si può dire, visti gli anni passati dalla sua esplosione) death/thrash di natura nord europea, svedese, per la precisione… E qui iniziano i primi problemini… Ha ancora senso, nel 2012 proporre un disco di questo tipo? Beh, sì e no… Sì se lo si fa con cognizione di causa e professionalità, come in questo caso… No perché in ogni modo resta roba già trita e ritrita, e riuscire a stupire l’ascoltatore diventa ogni volta sempre più difficile. Nel caso dei Damaste possiamo parlare di un album a cui teoricamente non si può recriminare nulla. È molto ben suonato, le parti dei singoli sono di pregevole fattura, sia quelle delle due asce, sia quelle della sezione ritmica, e il semi growl di Andrea Pelliccia pur non essendo nulla di trascendentale colpisce a fondo. Quello che manca, però, nonostante i brani siano ben strutturati e le parti melodiche ben distribuite, è quel quid in più che riesca a far emergere un brano o che riesca a fartelo rimanere in testa dopo qualche ascolto. Purtroppo non accade nulla di tutto ciò, e per quanto il CD scorra via senza problemi, ti lascia con un pericoloso vuoto al suo termine. La band è matura abbastanza per riuscire a colmare questa lacuna, basta ascoltare la semi suite finale “The Opalescent Path” per capire che hanno le carte in regola per poterlo fare. Se in futuro riusciranno a scrollarsi di dosso le immancabili influenze (Arch Enemy, In Flames, Edge Of Sanity e via dicendo) e riusciranno ad osare di più e a concentrarsi maggiormente sul songwriting che sulla mera esecuzione tecnica (impeccabile, per carità), cercando qualche soluzione innovativa o quanto meno più incisiva, allora potranno ambire a qualcosa di più. Per allora resteranno una buona band, ma completamente omologata alla massa… Per dovere di cronaca, segnalo Where Awareness and Detachment Collide”, la titletrack e “Dreadful Deviancy”, insieme alla già citata track finale, come brani migliori di un disco ben fatto ma ancora incompleto. Calcolando però che stiamo parlando di un esordio, i margini di miglioramento ci sono tutti (da qui il voto di incoraggiamento), e vogliamo assolutamente sentirli nella prossima release…
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