Il Metallo pesante è un genere in continua evoluzione, questo è innegabile! Lo testimoniano le innumerevoli varianti e correnti che sono nate nel corso degli anni ed hanno fatto breccia nei cuori di innumerevoli metal kids di tutto il mondo. In quest'ultimo periodo, però, sto notando l'affermarsi di un fenomeno che secondo me ha davvero
poco di innovativo, sto parlando del cosiddetto
Metalcore, cioè quella commistione tra l'immediatezza e l'anarchia sonora del Punk hardcore e la brutalità e la ricercatezza dell'Heavy Metal, nella sua variante più veloce e, a tratti, più estrema. Onestamente non è che tal soluzione mi faccia poi così impazzire, soprattutto perché è una strada già battuta in precedenza e che ha portato ha risultati certamente migliori, basti pensare a certi esperimenti
crossover/thrash come
“Join The Army” dei
Suicidal Tendencies, dove la fusione di strutture musicali diverse è alla fine sfociata nella creazione di prodotti peculiari ed interessanti, capaci di influenzare le successive generazioni di musicisti. Ovviamente queste considerazioni sono del tutto
personali ed opinabili e non devono portare ad una generalizzazione pericolosa, per la quale ogni album metalcore diventa sinonimo di involuzione e scarsità di idee, anche se, nel caso di questo
“Inferno” la situazione non è affatto rosea.
Partendo subito con l'analisi del disco, la prima cosa che mi è balzata all'orecchio è stata la
noiosità della proposta, infatti mi sono trovato davanti a strutture musicali per lo più semplici e lineari, dove un riffing tipicamente
thrash/death sorregge un'impalcatura sonora fatta di soluzioni moderne e violente, le quali, pur evidenziando una preparazione tecnica eccellente, non riescono a sottrarsi da quell'alone di
“già sentito” che pervade tutta la durata del disco; tale sensazione è presente anche negli episodi più variegati, come ad esempio la conclusiva
“Alone At The End Of World”, una canzone che nell'intento doveva essere sperimentale, grazie ad innesti di pianoforte e voce femminile pulita ed elegante, ma che in realtà sembra una specie di connubio mal riuscito tra
metal moderno e
soluzioni “gothicheggianti” anch'esse attuali e stra-abusate. Un altro punto a sfavore della nuova uscita discografica degli
Shadowsphere riguarda anche l'uso della voce, infatti non riesco a capire il perché dell'ostinarsi ad affidare tanto spazio alle parti urlate quando si è in possesso di un
growl profondo e personale, capace di dare davvero spessore e potenza al riff di base, specialmente quando lo si incattivisce con stacchi in blasts beat precisi e potenti, come accade in
“Within Th e Serpent's Grasp”.
In conclusione
non mi sento di promuovere quest'album, in quanto lo trovo penalizzato da un
songwriting poco ispirato e piatto, incapace di mettere in risalto la preparazione tecnica dei vari musicisti, i quali offrono comunque una prova degna di nota, come testimoniano i vari soli di chitarra, puliti e veloci, e le frequenti accelerazioni proposte dalla sezione ritmica, abile nel passare agevolmente da parti più dure e “pestate” ad altre più lente e groovy.
Detto ciò non mi resta che congedarmi e sperare che gli
Shadowsphere ritornino sul mercato con un lavoro più convincente e vario, sterzando magari verso sonorità più estreme e classiche, lasciando, soprattutto, campo libero all'uso del cantato in growl, che ho trovato davvero potente e personale.
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