In “giro” da oltre un decennio, autori di svariate incisioni prima di questo nuovo “Reset”, i capitolini
Surgery (da non confondere con gli omonimi
noise-blues rockers di Syracuse, ormai “scomparsi” dalle scene …) rappresentano per il sottoscritto un’autentica “sorpresa”.
E si tratta di una bella sorpresa, giacché ho parecchio apprezzato la loro proposta musicale, un’intrigante e psicotica copula tra clangori
industriali, ferocia
metallica, ritmi
cibernetici, lussuriose visioni
oscure e spigliatezze
synthetizzate.
Niente di particolarmente “sconvolgente”, in realtà, tutta “roba” in qualche modo già “subita” durante le travolgenti sessioni d’ascolto dedicate a Rammstein, The Kovenant, Marilyn Manson e Deathstars, eppure i romani riescono a conferire un adeguato respiro creativo alle loro composizioni, lasciandolo libero di esprimere il proprio impeto evocativo, malsano e decadente senza scadere in manifestazioni di auto-indulgenza fine a se stessa.
All’incoraggiante quadro complessivo contribuisce in maniera rilevante l’uso della madrelingua (che i nostri in questo caso alternano saggiamente all’inglese), attuato con gusto e raffinatezza intellettuale (la riscoperta, come già fatto a suo tempo dagli storici CCC CNC NCN, dell’antico canto anarchico “Il galeone”, qui restituito con le fattezze di una pulsante e vetriolica esortazione, ma anche “La ballata dei caduti”, una perla nera d’intenso lirismo, per esempio), dove la voce conturbante di Daniele Coccia (nelle circostanze meno efferate mi ha ricordato un po’ una versione ancora più fosca di Mauro Ermanno Giovanardi, con appena un pizzico del mitico Ferretti nell’impasto interpretativo …) e quella liturgica di Cristina Badaracco, pur nei contorni di una modalità operativa piuttosto consueta, riescono a favorire efficacemente quel misto di torbida e magnetica suggestione sensoriale richiesto dal genere.
Alla necessaria stimolazione “fisica”, al contributo di movimento, ballo e liberatorio sfogo muscolare ci pensano, poi, le chitarre “essenziali” e spietate di Dario Casadei e il gran lavoro
electro-ritmico svolto da Matteo Castaldi e Daniele Antolini, artefici di strutture sempre insinuanti e coinvolgenti, anche quando i
beats si fanno maggiormente “danzerecci” e rischiano di far inorridire qualche irriducibile
metal-head eventualmente impegnato in un’audizione magari vagamente “clandestina”.
Come anticipato, sono i brani in italiano quelli che mi hanno impressionato in maggior misura (oltre ai già citati, aggiungo “Fino all’ultimo respiro” e “Nel nome del fuoco”) ma anche il resto del programma (compresa la cover dei Berlin “The metro” e i
remix opera dei noti Thomas Reiner e Sebastian Komor, leggermente meno significativi, invero, mentre il vortice sismico di “Mercalli” si segnala come uno dei momenti
clou del disco) ha i mezzi e la forza espressiva adeguata per fare bene tra il pubblico degli appassionati, nell’attesa di poter apprezzare i Surgery dal vivo, in qualcuno di quei
dance-floors apocalittici dove le maschere e i costumi di scena del gruppo, curati da Sergio Stivaletti (collaboratore di Dario Argento e Lamberto Bava!) potranno sicuramente contribuire a rendere ancora più viziosa, selvaggia, temibile e sinistramente attraente l’intera esposizione artistica.
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