“Mask of Damnation” segna il ritorno sulle scene dei finlandesi Requiem, a distanza di oltre un anno dal debut album “The Arrival”, discreto disco di Power Metal neoclassico nella miglior tradizione di Malmsteen e Tolkki. Nulla è cambiato nella formazione scandinava, come consuetudine viene dato grande spazio alle melodie, sia dalla coppia di axeman Raisala – Hanninen, sia dalle tastiere di Henrik Klingenberg (che dopo questo album ha lasciato il gruppo per dedicarsi a tempo pieno ai suoi impegni con i Sonata Arctica), e purtroppo si continua ad avvertire nella proposta musicale dei Requiem una certa mancanza di originalità, che limita fortemente l'appeal di questo “Mask of Damnation”. Si parte con la tellurica opener “Blinded”, con un ritornello un po' grezzo a onor del vero, e si rimane sempre in doppia cassa con la successiva “The Dying Ember”, pezzo veloce e melodico ma piuttosto banale. Tocca poi alla bella title-track, forse l'episodio più convincente dell'album, una mid-tempo accattivante in cui sono le tastiere di Henrik a dare quel tocco di personalità che di solito manca alle composizioni dei Requiem. “Divine Illusion” e “Ethereal Journey” privilegiano nuovamente la velocità e le melodie di stampo neoclassico, ma la ripetitività delle soluzioni impedisce alle due canzoni di fare presa sull'ascoltatore. Decisamente più riuscita la power ballad “Shrine of the Ocean”, che ricorda vagamente lo stile dei Symphony X (“The Edge of Forever”) per le belle armonie create dalle chitarre e dalle tastiere di Henrik; peccato che la voce del singer Jouni Nikula dimostri notevoli limiti sulle note medio-basse, rovinando l'atmosfera della canzone. In “Dagger” si respira un'atmosfera generalmente più epica, con un incedere quasi marziale, e pur esprimendo una maggiore personalità, anche questo pezzo si rivela poco efficace. Il disco si conclude con “The Rival's Spell”, che torna su tempi più sostenuti, con spiccate influenze neoclassiche, una canzone più violenta in cui Jouni dimostra di essere maggiormente a suo agio su linee vocali più alte e tirate. Buona la produzione, affidata alle abili mani di Nino Laurenne dei Thunderstone, così come la tecnica strumentale del gruppo. Purtroppo quello che manca è un songwriting convincente, un difetto che impedisce a “Mask of Damnation” di arrivare alla piena sufficienza. Peccato!
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