"The words are quiet like the murmur of a rock.."
E le rocce devono piacere proprio un sacco al paroliere
Hans Lundin, che già su "In the Wake of Evolution" ci aveva costruito addirittura una canzone intera ("The Seven Oceans of Our Mind"). Ma perchè questa frase per aprire la recensione? Io dico che vi bastano due ascolti di "
Vittjar" per capirlo. No? Volete una mano? E vediamo cosa si può fare..
Prima di tutto la solita lezioncina di storia per i lettori meno attenti: i
Kaipa nascono in Svezia a cavallo tra gli anni '60 e gli anni '70, periodo assai fertile per il movimento prog rock europeo. A Londra spopolano infatti Genesis e Yes, così sulla loro scia il tastierista Hans Lundin e il bassista Tomas Eriksson decidono di mettere in piedi una loro band. Quasi subito si unisce al gruppo un giovanissimo Roine Stolt, che con gli anni diventerà una vera e propria icona del prog scandinavo e mondiale.
E in una terra di buona musica qual'è sempre stata la Svezia, il nuovo gruppo colleziona subito un successo dopo l'altro fino al 1982, anno della rottura, dovuta alle canoniche divergenze musicali tra i vari membri della band.
Rottura che dura per ben 20 anni, quando Stolt (che nel frattempo aveva fondato i
Flower Kings) e Lundin decidono di riesumare il progetto Kaipa. "Notes from the Past" vede quindi la luce nel 2002 e dieci anni dopo, dopo altri 4 ottimi dischi, tra cui l'acclamatissimo e meraviglioso "In the Wake of Evolution", esce questo nuovo "Vittjar".
Ma che disco è "
Vittjar"? Semplice, è un disco dei
Kaipa. E voi direte "e sticazzi?". Giusta osservazione, ma è altrettanto giusto specificare che anche sul nuovo disco le coordinate stilistiche e musicali del gruppo non cambiano praticamente di una virgola rispetto al recente passato, unendo quel prog rock di matrice settantiana delle origini con un prog più moderno, più arioso. Un'evoluzione cominciata sull'ultimo disco con Stolt, "Mindrevolutions", e continuata in maniera lineare sui successivi, fino a raggiungere l'apice nel già citato "In the Wake of Evolution".
Che palle le continue citazioni di quel disco eh? Il fatto è che QUEL disco è la perfezione, il metro di paragone di qualsiasi album futuro dei Kaipa, volenti o nolenti. E allora "
Vittjar" regge questo paragone scomodo?
Si e no.
Si perchè le canzoni si dipanano lungo una sottile linea di continuità col precedente disco, sia nei testi (come già evidenziato in apertura) sia nella musica, con
Lundin e le sue tastiere a farla da assoluto padrone, assieme alla chitarra del poliedrico
Per Nilsson (ci credete che è lo stesso Per Nilsson chitarrista degli
Scar Symmetry? No eh?). Ogni singola canzone è un piccolo viaggio in un mondo magico, un'avventura da intraprendere con un'apertura mentale completa. L'abilità dell'ascoltatore sta nel lasciarsi cullare dall'allegria di "
Lightblue and Green", dalla calma di "
Our Silent Ballroom Band" e dalle atmosfere quasi folk della title-track "
Vittjar", cantata per l'occasione in lingua madre, come spesso fatto nei primi anni di vita della band. Il tutto accompagnato dalle voci eteree e meravigliose di
Patrik Lundstrom e di
Aleena Gibson, perfette sotto ogni punto di vista.
No perchè quella linea di continuità che da un certo punto di vista risulta un pregio si trasforma in un difetto, permeando le canzoni di un senso di già sentito che troppo spesso diventa quasi opprimente, soprattutto quando le canzoni si allungano un pò troppo ("
Our Silent Ballroom Band") ma senza presentare quella varietà che ci si aspetterebbe per non cadere nello sbadiglio, attorcigliandosi attorno a uno schema collaudato ma ormai liso.
Qualche pro, qualche contro, ma tutto in punta di piedi, quasi in silenzio, come le rocce di cui sopra. C'è quiete in "
Vittjar", fatta esclusione per un paio di distrazioni metallose ("
First Distraction" e "
Second Distraktion", in apertura e chiusura) che potrebbero rappresentare una piacevole chiave di volta in vista dei lavori futuri. Globalmente però siamo di fronte a un lavoro grandioso, inferiore si a quanto visto nel recente e pluri-citato passato ma allo stesso tempo superiore alla maggior parte dei lavori di prog girati nel mio stereo recentemente. Perchè la pelle d'oca riescono a farmela venire solo i musicisti veri, e i
Kaipa fanno decisamente parte di questo gruppo..
Quoth the Raven, Nevermore..