Diciottesimo lavoro per i
Marillion, band oggi lontana dai clamori di vent'anni orsono (da tempo sono fuori dal mercato delle major, si autoproducono e sopravvivono grazie a un, peraltro nutrito, zoccolo duro di appassionati) ma sempre ben viva dopo oltre un quarto di secolo di vita. Quando si dice suonare per il puro piacere di farlo, la miglior condizione per creare in piena libertà, seguendo solo il proprio estro. Con il meccanismo del preordine da parte dei fans, che praticamente finanziano ogni uscita, i Marillion hanno creato con essi un legame fortissimo.
La caratteristica di
Sounds That Can't Be Made è l'atmosfera avvolgente e intrigante che cattura lungo l'intera durata della tracklist, nonostante le tre lunghe canzoni da oltre 10 minuti qui contenute e volutamente disposte una all'inizio, una al centro e una alla fine della lista dei brani. La voce di Steve Hogarth sarà anche priva del carisma di Fish ma è molto più calda e duttile e, quindi, adatta allo stile sofisticato che la band ha scelto negli ultimi albums. Ottimo il lavoro effettuato per rendere la profondità definita dal basso di Pete Trewavas ed i suoni super definiti della batteria di Ian Mosley. Arrangiamenti curatissimi. Le chitarre di Steve Rothery abbinate alle tastiere di Mark Kelly descrivono orizzonti quasi visivi in quello che è come un documentario di viaggio, dove profumi geografici si alternano a cenni storici, filmati a istantanee fotografiche.
Gaza saprà rendere, con il suo alternare parti più buie a momenti di quiete, la situazione storica di quelle terre martoriate; la deliziosa
Invisible Ink vi fara sognare di correre in un campo che si perde all'orizzonte in una giornata di sole;
Lucky Man si muove in territori rock blues; Montreal sarà come una guida turistica che vi accompagnerà in quei luoghi;
Pour My Love arriva dritta dritta dal repertorio più soft di nomi famosi degli anni '80 come Terence Trent D'arby;
Power è il primo pezzo che incontriamo qui nel classico e riconoscibile stile Marillion;la title track ricorda i Duran Duran più elettronici uniti a sognanti atmosfere patinate ed al classico cantato di Hogarth;
The Sky above the Rain mostra di nuovo un stile volutamente retrò e patinato come una cartolina dalle Hawaii, ascoltandola ad occhi chiusi vi sembrerà davvero di essere sotto una palma in riva al mare. La sofisticatezza di
Sounds That Can't Be Made non sta nella complessità tecnica, anzi, ogni brano è di una semplicità disarmante; piuttosto la si trova nelle atmosfere create e nei continui richiami ad un pop rock vintage. Un disco da vivere, più che da analizzare.
Sicuramente tra i migliori della loro produzione dal 2000 in poi.
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