Gli Iron Maiden hanno da sempre dato una sensazione di forza e solidità che non è mai stata messa in discussione, né dai diversi avvicendamenti che hanno fronteggiato né dalla presenza nella propria discografia di alcuni episodi non sempre all'altezza della loro fama e delle aspettative dei fans, ma nemmeno dagli excursus solisti di alcuni dei suoi componenti, compresi quelli più recenti, come Adrian Smith con i Primal Rock Rebellion e Nicko McBrain nei Who Cares.
La carismatica presenza di
Steve Harris sul ponte di comando rappresenta indubbiamente un
certificato di garanzia, con il bassista che incarna lo spirito degli Iron Maiden, e giunge pertanto un po' a sorpresa questa sua uscita in solitaria, "British Lion", dove incrociamo canzoni più e meno recenti che Harris ha realizzato nei ritagli di tempo lasciategli dalla sua creatura principale.
Già.
Nei ritagli di tempo.
Questo non ha certo aiutato a dare vita a brani memorabili, peraltro non sorretti da una formazione che sembri in grado di fare la differenza, sopratutto nel comparto vocale, dato che Richard Taylor ha suscitato più di qualche perplessità.
E dire che le prime battute hard, intense, cupe ed allo stesso vagamente moderniste ed
alternative di "This is My God" potevano lasciar ben sperare, perlomeno sino al momento in cui si è affacciato Taylor, che con voce piatta ed anonima ha subito affossato un brano che, comunque già di suo, dopo i fugaci entusiasmi iniziali aveva poi preso a zoppicare.
Vistosamente.
E l'album scivola via con passo claudicante, con le
stampelle che gli vengono in soccorso solo a metà dell'album nelle (moderatamente) vivaci "Judas" e "A World Without Heaven" mentre episodi come "Lost World" o "The Chosen Ones" sfilano via mesti e senza
colpo ferire all'ombra di un classico Rock settantiano e con marcati sconfinamenti nell'AOR, dai quali non riesce certo a sottrarsi un pezzo spiccatamente easy e dall'indole radiofonica quale si rivela "Eye of the Young". E lo stesso avviene quando ci riprovano con le soluzioni già provate nell'opener, che si perdono nell'inconcludenza di "Karma Killer" e delle sue chitarre inutilmente e forzatamente distorte.
La presenza di Steve Harris contribuirà, anzi sarà fondamentale per calamitare le attenzioni su questo disco, ma non certo nel renderlo imperdibile.
"British Lion" non verrà ignorato solo per quel suo nome piazzato là in alto.
Ma l'album si piazza là... in basso.
Well, it's a dirty job but someone's gotta do it
And it's a dirty review but someone's gotta write it ...
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