"Hey Bob, mettiamo su una band?"Solitamente non amo granché recensire gruppi "del passato". Preferisco le novità, scoprire nuovi talenti, ascoltare nuove voci, nuove idee. Non per razzismo o che, ma trovo che la maggior parte dei gruppi nati negli anni '70-'80 ormai non abbiano più molto da dire, trascinandosi dietro una certa nomea e costruendoci sopra album triti e ritriti, di una noia mortale.
I
Magnum però, ragazzi miei, sono tutta un'altra cosa.
Raccontare la loro storia, come faccio di solito in testa ad una recensione, questa volta mi porterebbe via troppo tempo. Di conseguenza proverò a limitarmi un riassuntino per i più giovani, quelli che magari non conoscono la storia di Bob Catley e soci: i
Magnum nascono, nella loro prima incarnazione, nel lontano 1972 a Birmingham, in Inghilterra e fin dai primi vagiti sono dediti a un hard rock dalle tinte progressive. 6 anni dopo esce il primo disco, "Kingdom of Madness", ed è subito successo. Ma sono gli anni '80 a regalare le gioie maggiori ai britannici, con album quali "On a Storyteller's Night", "Vigilante" e "Wings of Heaven" che scalano le classifiche europee e mondiali, portando il nome dei Magnum sulla bocca di tutti. Poi però, a cavallo degli anni '90 arriva il declino, culminato nel 1994 con lo scioglimento del gruppo, dopo 10 studio album e innumerevoli date live.
Sembrava finita, ma nel 2002
Bob Catley e
Tony Clarkin, le due anime portanti della band, decidono di rimettere su la banda e sfornare "Breath of Life", un vero soffio di vita nel corpo inerme dei furono Magnum.
Altri 6 anni e arriviamo quindi a questo "
On the 13th Day", sedicesimo (!!) album della band e, ve lo dico subito senza girarci troppo attorno, il migliore mai scritto dalla reunion in poi, senza se e senza ma.
I Magnum riescono esattamente la dove le band che citavo nel cappello introduttivo falliscono di continuo: produrre canzoni fresche e moderne, non perdendo di vista la loro storia e la loro eredità. Si perchè ogni singola canzone presente su questo disco suona Magnum al 110%, riuscendo allo stesso tempo a non essere noiosa o già sentita, pur utilizzando soluzioni abusate, ma non per questo stantie.
Uniamo a tutto questo un
Bob Catley in forma STREPITOSA, letteralmente. 65 anni e non sentirli affatto, e sono certissimo che anche in sede live la resa sia eccellente, avendolo visto di recente aizzare folle con i suoi celebri e leggendari movimenti da predicatore navigato.
Ed è impossibile non citare gli altri 4 componenti dei
Magnum, che sommati mettono insieme 219 anni. Ci rendiamo conto? 284 anni (Catley compreso) di esperienza al servizio della dea musica. E cazzo se si sente!
Tony Clarkin (65) con le sue chitarre sforna ininterrottamente da 4 decenni riff indimenticabili, le tastiere di
Mark Stanway (58) continuano a regalare brividi e la "nuova" sezione ritmica formata dai giovincelli
Al Barrow (44) e
Harry James (52) sembra far parte del gruppo da sempre, anziché da "soli" 10 anni.
E fin dall'iniziale "
All the Dreamers", canzone dallo spirito puramente rock anni '80, veniamo trasportati in un viaggio incredibile, che non vorremmo mai veder terminare. Con la successiva "
Blood Red Laughter" aumentiamo subito i giri del motore, con una canzone pomposa e piacevolmente ritmata, dal ritornello irrestistibile. Ed è proprio la piacevolezza degli ascolti e la facilità nel canticchiare i ritornelli l'arma vincente di questo disco, che fin dal principio e per tutta la sua durata si dimostra di facilissima assimilazione, piantandosi nella testa e rimanendoci anche una volta premuto il tasto Stop del lettore, tasto che comunque vien molto difficile premere. Come si può infatti interrompere le strabilianti tastiere di Stanway sulla splendida "
So Let It Rain", mid-tempo AOR fino al midollo e (giustamente) primo singolo scelto per la promozione dell'album? O le orchestrazioni della ballad "
Putting Things in Place", che accompagnano, esaltandola ancor di più, la già tanto elogiata voce di Bob Catley? O ancora l'aggressività melodica della centrale "
Dance of the Black Tattoo", coi suoi taglienti riff di taglio hard rock?
E potrei continuare davvero con ogni singola canzone dell'album, tutte piccole perle di una collana che ogni nobildonna del passato e del presente invidierebbe.
Chiamatelo pure come vi pare, hard rock, prog rock, AOR..fate voi. L'ultima cosa in ordine di importanza da fare con un lavoro del genere è catalogarlo. La prima è senza dubbio ascoltarlo, goderselo e rendersi conto che i
Magnum sono una delle migliori band del pianeta, fin troppo sottovalutati, ma in grado con ogni loro uscita di emozionare e farsi piacere un pò da tutti. E se contiamo che da quel "mettiamo su una band?" sono passati ormai 40 anni, la cosa assume un valore decisamente maggiore.
Quoth the Raven, Nevermore..